1963 - La casetta di Garibaldi

 

      

       Come non associarsi alle giuste e concise considerazioni del cronista (La Nazione dell’8 maggio) sull’opportunità di far sparire dal paesaggio (già fortemente provato) di Porto Venere la pittoresca «casetta»? Che si sappia, la deliberazione dell’amministrazione comunale non è giustificata da impellenti necessità del traffico stradale e, per contro, si verrebbe a privare il caratteristico borgo ligure, se non proprio di un monumento storico degno di tal nome, di una memoria sentimentale connessa al nostro travagliato e faticoso Risorgimento nazionale.
       Pensate: a Porto Venere si è rispettato, nel nuovo clima repubblicano e, diciamolo pure, con alto senso civile più unico che raro, un pregevole monumento ad un Re sabaudo che nel Risorgimento ebbe parte non certo di primo piano, il Re Umberto; ed oggi, con gran naturalezza, si vuol abbattere la soglia ospitale sulla quale trovò rifugio in questa nostra prima libera terra colui che ne fu uno dei maggiori artefici!
       In quell’estate del 1849, che fu forse la più triste nella vita di Garibaldi, insieme, per la perdita di Roma e della sua Anita, mentre l’Eroe vagava di monte in monte e di casolare in casolare, per l’Appennino toscano, furono i patrioti del Golfo ad ordirne segretamente il salvamento, in unione al comitato genovese del quale faceva parte Maria Mazzini, ad emissari in Toscana e nell’Italia centrale in genere.
       Certo, non a caso, il santerenzlno padron Paolo Azzarini si trovò ai primi di settembre ad attendere l’Eroe, con la sua barca da manaite, nel golfo di Follonica; ma se nella fuga a piene vele verso
Porto Venere, col prezioso carico a bordo, fosse incappato nella crociera delle pirocorvette toscane che (assai bene informate) avevano ordine di catturare il fuggiasco, la nostra storia dell’indipendenza poteva avere altro corso... Fatto storico di grande importanza, dunque, l’approdo di Garibaldi alla casetta di Porto Venere nel settembre del 1849.
       In occasione della scomparsa di Garibaldi a Caprera nel 1882 fu, se non erro, la società Operaia di Porto Venere « Istruzione e lavoro » a deliberare di tramandare il ricordo dell’avvenimento in una lapide, dettata da mio padre che, allora ventenne, aveva assistito allo sbarco del generale, accompagnato dal fido capitan «Leggero» un coglioio della Maddalena, eroe leggendario delle precedenti gesta garibaldine in America ed in Italia.
       Orbene, mi sembra d’interpretare l’opinione di molti portoveneresi suggerendo che la casetta non sia demolita, e che la lapide, venutasi a trovare, per forza di cose, in posizione assai poco felice — e sotto alcuni aspetti indecorosa — venga trasportata sulla facciata a mare del piccolo e significativo edificio.
       Questo potrebbe essere artisticamente trasformato, alla occorrenza, sullo stile locale, dimezzandolo al livello stradale e ricavandone un belvedere nella nuova copertura; destinando i locali interni sia allo scopo già indicato da La Nazione, sia a mostre artistiche o ad altri fini turistici.

 
     
     

  

× torna a INDICE ARTICOLI
 
 
 
 

 
 
Home  ◊  I libri  ◊  I libri inediti  ◊  Gli articoli   ◊  Gli interventi   ◊  Gino Montefinale  ◊   Biografia  ◊   Contattaci