1967 - Il primo naturalista delle nostre montagne Gerolamo Guidoni di Vernazza

 

      

       Della mia prima e già lontana giovinezza, ancorata (con qualche lunghezza di catena) al secolo XIX, ricordo soprattutto il bel mare di Porto Venere pieno di pesci e di molluschi che il grande Lazzaro Spallanzani (che scoprì i microbi un secolo prima di Pasteur) aveva accuratamente catalogati. E’ noto infatti che il biologo e naturalista di Scandiano (Modena) dimorò per qualche tempo a Porto Venere nel 1782 e, si dice, anche nel 1781, ospitato nel convento di San Francesco (ora sede del comune). A quel catalogo, ha scritto uno zoologo, mancano oggi molte specie (pare un centinaio) uccise dalla nafta, dai detersivi e dallo sterminio fattone dai pescatori poco scrupolosi.
       A noi ragazzi faceva piacere raccogliere le belle conchiglie variopinte che la mareggiata straccava sulle spiagge (allora vi erano le spiagge!) e conservare le più belle, insieme a quelle, dalle forme e dai colori fantastici, che i marinai portavano dai mari lontani.
       Ma sui monti e sulle rocce foranee delle isole vi erano altre conchiglie, note solo ai pochi che si erano assunti l’arduo compito di leggere sulle rocce stratificate la storia della Terra: le conchiglie fossili! Queste, come è noto, furono milioni di anni fa conchiglie viventi ma rimaste incapsulate in strati sedimentari, e fuori del contatto corrompente dell’aria, andarono soggette al lento processo della mineralizzazione sostituendosi cristallini minerali al posto delle cellule dell’organismo vivente.
       I monti della Spezia, costituiti per buona parte da rocce calcaree molto accidentate (strati contorti o rovesciati nei modi più strani in seguito a sconvolgimenti e sollevamenti dai fondi marini nelle epoche geologiche) ne sono particolarmente ricchi. Il primo a scoprirveli e raccogliere questi fossili in centinaia di esemplari, facendone la classificazione scientifica, fu Girolamo Guidoni di Vernazza, già stimato naturalista quando (intorno al 1850-54) cominciava ad affermarsi nello stesso campo la fama di Giovanni Cappellini. Lo deduco da un ingiallito « cartulario » di un mio avo paterno, il dottor Tommaso Bernardo Montefinale, nato a Porto Venere nel 1795, medico del paese, ma noto nel golfo dove (nella prima metà del secolo XIX) i medici erano assai pochi, e frequenti le epidemie, battendo spesso alle porte il terribile « colera indico ». La suddetta preziosa raccolta di scritti medici, letterari e di storia naturale è una delle ultime testimonianze dell’erudizione tipica dei medici di allora, la cui formazione si allacciava alla tradizione dei «filosofi naturali » (o fisici) del Rinascimento. Del resto Galileo Galilei aveva cominciato la sua fatidica carriera scientifica con l’addottorarsi a Pisa in medicina, e « fisico » veniva chiamato il medico in vari paesi d’Italia fino agli inizi del secolo passato, mentre l’uso di chiamare physician il medico si protrae tuttora presso il popolo inglese.
       Tornando al Guidoni, suppongo che egli fosse amico, se non proprio coetaneo, di mio nonno, e certamente con lui in corrispondenza scientifica, in quanto gran parte delle notizie contenute nella citata raccolta sulla costituzione geologica e sulla paleontologia del nostro golfo sono attribuite nei suoi scritti al naturalista di Vernazza.
       Vi trovo, ad esempio, ragguagli poco noti sui marmi del territorio compreso nell’attuale provincia, soprattutto sul portòro (o « marmo di Portovenere ») già conosciuto, a quanto pare, dagli antichi romani; sulle varie specie di esso, sulla probabile origine delle epoche geologiche, delle caratteristiche macchie giallo-oro su fondo nero cupo. A proposito delle cave, vi si legge che nel 1827 le più importanti erano quelle del Muzzerone (anzi sono dette « delle Grazie ») ed altra alla « estremità orientale » della Palmaria e che si supponeva l’esistenza, del portòro anche nell’isolotto del Tino. Ciò contrasterebbe con quanto io stesso ebbi a scrivere lo scorso anno in questo giornale, che il portòro cioè si cominciò a scavare alla Palmaria, e successivamente al Tino, intorno ai 1900.
       Per vero, il mio avo tratta di una cava sita nell’«estremità orientale » della Palmaria, mentre è risaputo che dal 1900 in poi le escavazioni si svolsero a preferenza fra la punta dell’isola (di fronte aI Tino) e la Cala Grande, e ciò lascia un po’ disorientati sull’esatta ubicazione delle cave alla Palmaria nell’anno 1827. Queste insieme a quelle dette « delle Grazie » in detto anno avrebbero dato una produzione di 8000 palmi cubici di marmo, per un valore complessivo di 48.000 lire dell’epoca. Tale industria fu incrementata negli anni successivi e si legge nelle « Memorie » di Agostino Falconi che nel 1840 si contavano 30 cave distribuite fra il Monte Santa Croce e la Palmaria; per poi diminuire nuovamente quando i grandi lavori dell’arsenale e la costruzione della diga foranea assorbirono tutta l’attività escavatoria del golfo.
       Giovanni Capellini ha riconosciuto nei suoi « Ricordi » l’opera di precursore del Guidoni nelle ricerche geologiche e paleontologiche della regione e Vernazza che gli ha dato i natali gli ha dedicato una lapide significativa ben in vista a chi sbarca nel suo pittorico approdo.
Gerolamo Guidoni e Giovanni Capellini: i due primi escursionisti (direi gli arrampicatori scientifici) delle montagne e delle isole dei golfo, quando ciò era possibile lungo i numerosi sentieri snodantisi attraverso la ancor intatta e vergine chioma di verde. Oggi, i sentieri sono ridotti a petraie popolate di rettili: la Palmaria, polmone di Porto Venere e del golfo, ad isola polinesiana, sempre in attesa dei Cook che la riscoprano e le restituiscano un minimo di valorizzazione, o per lo meno di accessibilità...

 
     
     

  

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