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Doveva godere,
fin d’allora,
buona fama il
mare del nostro
Golfo, se
l’illustre
naturalista e
biologo, che fu
precursore dei
più noti
“cacciatori di
microbi”
europei, l'aveva
scelto nel 1783
a degna sede dei
suoi studi sugli
animali marini,
nonché sulle
formazioni
geologiche
litoranee e
ricerche affini,
ch’erano di
solito il fine
delle
appassionate
investigazioni
dell’immortale
abate
scandianese. Non
è certa una
prima visita
dello
Spallanzani a
Portovenere nel
1781, o nel
1872. Si hanno
invece dati
sicuri, in
relazioni di sua
mano (commentate
ampiamente nel
1902 da Giovanni
Capellini in un
suo prezioso
opuscolo) sulla
lunga permanenza
che il
naturalista fece
nel pittoresco sorgitore nei
mesi di luglio,
agosto, e
settembre (e
forse parte di
ottobre) del
1783.
Pochi accenni al suo viaggio terreste, da
Pavia, sede del
suo insegnamento
universitario e
del suo storico
laboratorio alla
Spezia,
attraverso la
Cisa. Partendo
da Pavia, per
Parma s’era
portato in
calesse fino a
Fornovo, e
poiché ivi
terminava la
strada rotabile,
aveva proseguito
a cavallo fino a
Pontremoli,
pernottandovi.
Il giorno
seguente (23
luglio) sempre a
cavallo, riprese
il suo viaggio
verso La Spezia,
passando per la
vecchia strada
mulattiera detta
delle Lame, tra
Aulla e Santo
Stefano,
giungendo
presumibilmente
nel Golfo il 24
luglio, quivi
incontrandosi
col giovane, e
già noto, barone
Luigi d’Isengard.
Ed è certo che
il 26 luglio
prendeva
alloggio a
Portovenere, in
una casa che il
senatore
Capellini era
riuscito ad
identificare e
della quale si è
perduto oggi il
ricordo. Ed ora
subito al
lavoro!
Un mare
allora
pescosissimo
In una lettera del 15 gennaio 1784 lo
Spallanzani
dichiara di aver
fissato la sua
dimora a
Portovenere
«
per essere
un paese
contiguo al
golfo della
Spezia, tanto
famoso nelle
storie sia
antiche che
moderne, e tanto
degno di esserlo
pel sicuro asilo
che presta ai
bastimenti
d’ogni maniera
che dentro vi
approdano, ma
tutt’insieme
adattissimo per
la calma quasi
continua che vi
regna ad appagar
le voglie degli
avidi
ricercatori
».
Ed accenna quindi d’aver ivi soggiornato
più di due mesi
e mezzo senza
lasciare di
uscire dalle
bocche del golfo
per inoltrarsi
con legni
pescherecci in
alto mare verso
Livorno e la
Corsica,
occupandosi di
produzioni
marine
«
senza
trascurare
l’esame delle
adiacenti
litorali
montagne e delle
prossime
isolette,
notando le molte
e varie
circostanze che
insieme
concorrono a
rendere il golfo
non men vago
sopra ogni
credere e
dilettoso, che
unico in tutta
Europa
».
Esistevano allora a Portovenere varie
“paia” delle
caratteristiche
bilancelle o
paranze - dette
così perché,
appaiate,
tiravano al
largo le loro
reti a
strascico.
Comuni anche
alle coste
viareggina e
livornese,
formavano una
delle poetiche
attrattive del
Tirreno e nel
contempo buona
scuola di
marinai. Ricordo
di aver
assistito alla
loro progressiva
scomparsa con
nostalgico
rimpianto! A
quanto pare, lo
Spallanzani vi
s’imbarcava
spesso per i
suoi studi sulla
fauna ittica e
dalle sue pur
succinte
relazioni si
trae con
altrettanto
disappunto che
il nostro bel
mare abbondava
allora di ogni
sorta di pesci,
mentre oggi...
Sulla pesca di Portovenere l’eminente
naturalista si
sofferma con
molti
particolari, sia
nei riguardi dei
“mestieri”
impiegati
(sciabiche di
diversa maglia,
palamiti, nasse, gangaro ecc.)
sia in relazione
alle stagioni
più adatte ai
vani tipi di
pesca ed in
sostanza vi si
rileva che le
bilancelle
pescavano in
quantità
triglie,
naselli,
sogliole e
rombi, oltre a
razze, ferrazze,
torpedini,
gattuzzi e
nocciole ed in
minor quantità
le ombrine, che
le sciabiche
facevano buona
preda di
bianchetti e
rossetti,
scorpene,
muggini e boghe;
i palamiti dei
naselli,
gronghi, morene
ed agoni; alcuni
naselli
raggiungendo le
14 libbre e che
nelle stagioni
adatte
abbondavano
acciughe e
sardine, non
mancavano
piccoli pesci
spada da 6 a 10
libbre, mostelle,
palamie, qualche
piccolo tonno,
paraghi e sagari
in quantità, e
nemmeno... i
pesci volanti!
Infine lo Spallanzani tratta dei famosi
“datteri di
scoglio” e delle
aragoste allora
pescate in gran
quantità, ma
delle quali non
si vedono oggi
che rari
esemplari a dar
vita e colore
alle limpide
profondità delle
grotte...
Con ricchezza di dettagli viene descritta
l’escursione del
2 e 3 agosto
intorno alle tre
isole che lo
Spallanzani,
giudicando sulla
natura e la
stratificazione
delle rocce,
ritiene che in
antico
formassero un
tutto unico fra
loro e con la
penisola di
Portovenere.
Della Grotta
Azzurra misura
accuratamente
lunghezza,
larghezza e
profondità del
mare ed osserva
che i rondoni
che vi
nidificano sono
del tipo “a
pancia bianca” (Cypselus
melba) già
veduti in gran
quantità nella
Svizzera.
Descrive poi le
grotte della
Cala Grande e
del Tino e
poiché tutti i
fisici e
naturalisti di
allora si
affaticavano nel
verificare
cambiamenti di
livello del mare
rispetto alle
terre emerse
(secondo le
teorie allora in
voga di Celsio e
Linneo) lo
Spallanzani,
osservando che i
due ultimi
gradini, o
tacche nello
scoglio di
accesso al
convento
olivetano erano
bagnati dal
mare, ne dedusse
che dal IV
secolo il mare
in tale zona
non si era né
alzato né
abbassato.
Troviamo quindi, alla data del 19 agosto,
la descrizione
della famosa
Polla o fontana
sgorgante in
pieno mare (fra
Cadimare e
Marola) “alla
distanza di
piedi 65 circa”
dal lido, e di
diametro “20
piedi circa”.
Scandagliato il
mezzo della
Polla con un
piombino ne
misurava la
profondità in
piedi 41 e
mezzo. A
proposito della
Polla, vera
rarità nel
Golfo, ricordo
sempre
l’indignazione
del senatore
Capellini nel
saperla
inopinatamente
sacrificata...
Il
libeccio a
Portovenere
Non mancano descrizioni di questa
traversia, che
offre spettacoli
grandiosi e
spesso
terrificanti,
nelle lettere
scientifiche
dello
Spallanzani su
Portovenere. In
una lettera al
Bonnet sulle
sostanze fossili
osservate a
Portovenere
narra che
«
i marosi si
sollevano a
tanta altezza e
con tanto impeto
contro gli
scogli che
servono di
difesa a quella
antica
terricciuola,
che sembra che
il mare minacci
di interamente
inghiottirla
».
In altra sede
riproduce la
descrizione
fattagli
dall’Arciprete
Podestà della
spettacolosa
libecciata
dell’ottobre
1782, nella
quale poco mancò
che un veliero
sì infrangesse
sulle rocce di
San Pietro.
Doveva trattarsi
di un legno di
una discreta
importanza, che
avvistato a 4
miglia da terra
faceva ogni
sforzo per
imboccare il
canale del Tino;
ma che ad un
tratto virò e
diresse risoluto
per le Bocchette
di S. Pietro,
sotto gli occhi
inorriditi
dell’Arciprete e
di una piccola
folla radunatasi
in luogo alto
per osservare
l’inusitato
fortunoso
evento. Ne
tratteremo in
altra occasione,
per ragioni di
spazio.
Vi sarebbe ancora molto da dire sulle
osservazione
fatte dal grande
naturalista a
Portovenere e
dintorni, ma le
stesse ragioni
ce lo
impediscono.
Basterà
accennare che
nel suo
soggiorno marino
condusse studi e
ricerche di
anatomia
comparata su
varie specie di
pesci e
molluschi, di
stratificazione
delle rocce,
sulle grotte,
sulla già citata
sorgente
sottomarina, sui
fossili, sul
marmo di
Portovenere e
delle Grazie,
sui fondali del
Golfo e molte
altre.
Inoltre, di Spallanzani abbiamo
interessanti
abbozzi su
Portovenere del
1783 e sui suoi
abitanti, sulla
pesca e le
coltivazioni. Il
paese aveva
perduto, è vero,
l’importanza ed
il ruolo dei
secoli
precedenti, ma,
in compenso, i
suoi declivi e
la stessa
Palmaria erano
interamente
ricoperti di
fiorenti e
prosperosi
uliveti.
Napoleone non vi
aveva ancora
posato il suo
sguardo
d’aquila, né il
grande topografo Clerc era venuto
ancora a
ritrarne, nei
suoi
impareggiabile
disegni, le
pittoriche,
originali
bellezze, prima
delle
lacerazioni e
devastazioni del
secolo
successivo.
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