1962 - Il convento olivetano delle Grazie

 

      

       Il Seno delle Grazie comincia ad aver rilievo nella storiografia del Golfo quando il Buonaparte lo designa, insieme a quello del Varignano ed altre insenature laterali a sede di un grande arsenale militare marittimo, idea poi ripresa dallo stesso Cavour, ma da questi abbandonata nel 1861, a favore del progetto Chiodo.
       Gli stabilimenti del Varignano furono, insieme ai magazzini di Panigaglia, base di una squadra di vascelli e fregate che gli Stati Uniti mantennero in Mediterraneo fino alla guerra di secessione; poi il governo sardo vi organizzò un lazzaretto di quarantena, successivamente trasferito all’Asinara. Fra l’altro il Varignano acquistò notorietà per aver ospitato, due volte prigioniero, Giuseppe Garibaldi.
       Poco si sa della località Le Grazie nel Medio Evo, quando Porto Venere svolgeva la sua parabola luminosa quale baluardo marittimo di Genova nel Tirreno. Qualcuno ha affacciato l’ipotesi che nella profonda e sicurissima insenatura meno esposta di Porto Venere agli assalti del mare sorgessero i famosi cantieri di costruzione delle galee e naves da carico che gli annalisti genovesi pongono genericamente nel territorio portovenerese. Ciò spiegherebbe, ad esempio, uno sbarco in forze dei pisani in calanche attigue e la tradizione di buoni calafati costantemente mantenuta dagli abitanti, come lo dimostrano gli ottimi e ricercati cantieri navali specializzati che tuttora vi prosperano.
       Meno nebulosa è invece la esistenza di un importante centro religioso, il convento di Nostra Signora delle Grazie, del quale rimane l’edificio abbastanza ben conservato accanto alla chiesa parrocchiale.il Santuario delle Grazie Questa istituzione olivetana è venuta alla ribalta della storia nel 1432, in quanto fatta oggetto di Bolla del Papa Eugenio IV nella quale, considerato lo stato d’abbandono cui trovavasi il monastero di S. Venerio all’isola del Tino ne veniva proclamata l’unione con quello del Varignano.
       Il convento del Tino era stato fondato dai Benedettini intorno al 1056 e tutti i lati della sua storia sono stati ormai messi in luce dai valenti storiografi ed archeologi della regione lunense. Risulta che dopo 314 anni di vita dell’istituzione, nel 1470 la « famiglia » del Tino si ritirava nel monastero delle Grazie, lasciando nell’isola pochi monaci guardiani. Dal suo canto, il monastero di N.S. delle Grazie ebbe vita regolare fino al 1798, in cui per decreto del generale Miallis, luogotenente dei francesi, gli olivetani venivano espulsi dalla regione e l’abazia destinata all’uso parrocchiale, ma limitatamente alla chiesa, passando nel seguito il convento all’uso civile, come nelle attuali condizioni.
       E’ generalmente poco noto che nel convento, continuatore della precedente opera che ha reso famoso quello del Tino, esistono  affreschi di notevole pregio che si attribuiscono, almeno in parte, al pittore Nicolò Corso, così chiamato perché nativo, nel tardo Quattrocento, di Pieve di Vico in Corsica, che lavorò sovente in società con altri e per lo più con Giovanni Manzone da Alessandria, dal quale poté essere influenzato. Si ritengono sue due tavole provenienti dalla restaurata abazia di San Girolamo di Quarto, oggi nell’Accademia Ligustica, che risentono della scuola del Mantegna, che fu a Genova dal 1484 al 1501.
       Gli affreschi delle Grazie, distribuiti fra il refettorio ed alcune celle del convento, oltre a dimostrare la vita di benessere e splendore dell’istituzione nel periodo rinascimentale, ne rivelano il pregio artistico che è palese, nelle linee architettoniche di quanto ne rimane. Vi sono affreschi, come quelli della Crocifissione, di vaste dimensioni, ma purtroppo risentono in parte dell’ingiuria del tempo e della manomissione , in epoca del barocco, o per l’uso civile fatto del’convento in epoche recenti. Fra l’altro, buona parte di essi era stata ricoperta d’intonaco e fu opera di vari benemeriti, fra i quali il proprietario del fabbricato già nel 1900, e poi i suoi eredi, di averli portati alla luce. Se ne interessarono a suo tempo l’avvocato prof. Mori, ispettore dei monumenti alla Spezia ed il prof. Angelis d‘Ossat, direttore generale delle antichità, nonché il compianto Ubaldo Formentini e il dottor Nebbia nel 1933 ed altri competenti in arte negli ultimi anni.
       Il fatto è che bisognerebbe continuare la delicata opera di scoprimento intrapresa e forse altri quadri e fregi potrebbero essere messi allo scoperto. Del resto, l’insieme stesso del convento che si riallaccia come fu detto, alla tradizione del Tino, così ben rivalorizzata dal comitato « Pro Insula Tyro », meriterebbe una radicale restaurazione. Ciò nel quadro della razionale messa in valore di tutti i fattori artistici e paesaggistici del Golfo, anche agli effetti del turismo, soprattutto nel lato Ovest, che è stato ed è tuttora il più sacrificato alle esigenze di difesa.
       Sappiamo che la questione del convento e dei suoi pregevoli affreschi del Quattrocento è oggetto dì considerazione da parte dell’amministrazione comunale. A nostro avviso, le sale che li contengono o l’intero edificio, ricondotti quanto possibile alla loro fisionomia originale, costituirebbero per Le Grazie degli ottimi locali per manifestazioni culturali, artistiche, o di natura turistica, di un certo livello, del tutto conformi ai tempi. E si darebbe all’industre frazione qualche spunto d’attrazione, che equamente le spetta, nel quadro di un comune così ricco di storia, così favorito nel suo fresco clima estivo e nel suo inconfondibile paesaggio marino.

 
     
     

  

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