Come cinque secoli e mezzo or sono

 

      

        Sono rari, nella storia, i casi di paesi o popoli, passati dal regime di libertà alla dominazione straniera, che non siano caduti, presto o tardi, nell’ignavia e nell’abbandono morale, che generano la corruzione. Anche Portovenere, dopo lo stato di floridezza e di prosperità raggiunti dopo il 1113, quale baluardo di Genova nel Tirreno, ha subito la sua dolorosa pausa di miserie fisiche e morali, iniziata nel 1336 quando la città di San Giorgio, dilaniata da lotte intestine, si consegnava al re Carlo VI ed i Francesi alzavano la bandiera dai gigli d’oro, al posto della rosso-crociata, sulle torri della Colonia Januensis, la « fedelissima » della Meloria e di una ventina di battaglie acerrime contro Saraceni, Angioini, Catalani ed altri nemici della Repubblica. Verosimilmente, questa aveva dato a Portovenere insieme ai noti « privilegi » del 1205 degli statuti perfettissimi, che ne regolavano la vita, qual’era nelle sue abitudini nei riguardi delle rigogliose colonie del Levante. E non vi mancavano le più rigide misure contro il fuoco e la conservazione delle acque nelle cisterne, come rilevasi dai documenti d’archivio. Si deve certamente all’insano allentamento della disciplina etica, in tale periodo di confusione politica, il terribile incendio del 1340 e l’impossibilità di spegnerlo, in parte giustificata dal forte vento. Sta il fatto che il bellissimo e popoloso borgo, decantato dall’annalista Caffaro ed in rime dallo Ursone da Vernazza, (Zena, cìù un carruggio come si usava denominarlo in un detto corrente), venne completamente devastato, comprese le due chiese. I resti dall’incendio sono tuttora visibili nella parte alta del paese: viuzze abbandonate e solitarie, muri perimetrali delle case distrutte - alcune patrizie, con accenni di portali in stile genovese del tempo -  racchiudenti piccoli orti, silenzio ed abbandono, una Pompei a passo ridotto, senza alcun valore storico o monumentale; ma che ricostruita, con i necessari riguardi al paesaggio, potrebbe risolvere - come fu scritto sul Tirreno una diecina di anni fa - il problema della casa popolare, sempre in grave crisi a Portovenere… Il borgo venne ricostruito alla meglio nel  1370, assumendo pressappoco l’aspetto attuale, salvo il grande castello superiore, che è del secolo XVI. Ed eccoci al 1399: la crisi politica genovese dovuta all’insana lotta dei partiti, malattia incurabile dei popoli latini, non accenna a finire e, per giunta, a Portovenere un’epidemia decima la popolazione mentre, secondo le cronache, germi di corruzione ne minano la già compatta unità civica. Avviene, il 17 agosto, il miracolo della « Madonna dipinta dagli angeli » detto da allora « della Madonna Bianca », nella casa, oggi indicata fra quelle trasformate in orti, di un certo Lucciardo o Lucciardi.
       La preziosa icona – che udii il compianto prof. Formentini attribuire alla scuola Fiorentina – fu trasportata processionalmente nella chiesa di San Lorenzo (del 1130)  dove oggi è venerata e Le si attribuiscono molti miracoli, oltre a quello della immediata cessazione del grave contagio epidemico. Il miracolo originale è consacrato in atto pubblico dal notaio Giovanni di Michele di Vernazza, controfirmato da 60 testimoni oculari. Ma il miracolo maggiore fu, dicono gli storiografi della regione, che Portovenere ritrovò la sua coscienza civica unitaria, e ve n’era bisogno, perché, allora come oggi, gravi minacce si profilavano all’orizzonte, né era tempo di abbandonarsi a diatribe e ad ozi orientali.
       Nel 1409 i Francesi vendono Portovenere ai Fiorentini, ma i portoveneresi si ribellano ed alzano sulle torri la vecchia e gloriosa bandiera di San Giorgio! Illusione! A Genova comanda il duca di Milano e questi consegna, come pegno di pace, i castelli di Portovenere e di Lerici a re Alfonso d’Aragona... E’ la prova suprema; l’ultimo atto tragico della storia portovenerese: con spontanea rivolta, il paese si libera dell’occupazione spagnola e Genova premia la « Fedelissima » con nuovi privilegi politici e commerciali. Essa riprende respiro, ma Aragona prepara segretamente il supremo castigo proprio nel momento in cui un grande ligure si appresta a rendere la Spagna signora dell’Oceano.
       Per l’ultima volta, il baluardo del Tirreno, pagando con estrema rovina la sua indomita resistenza, subisce l’urto dei nemici di Genova, sopportando l’attacco della flotta aragonese, forte di 35 galee, 14 navi e legni minori. Alla strenua difesa, comandata da un Giacomo Balbo, avevano preso parte la guarnigione i terrazzani, comprese le donne, impiegando per la prima volta i cannoni lasciativi dai Francesi e ricorrendo allo strattagemma di spalmare gli scogli di sego, per renderli malagevoli agli armigeri assalitori.
       Il nemico è respinto con gravi perdite, ma Portovenere è semi distrutta! Per l’ultima volta. Il Medio Evo è finito e l’epoca nostra, che vi fa seguito, vedrà sorgere e gradatamente affermarsi La Spezia, come capitale del Golfo, e Portovenere relegata alla funzione di storico e pittorico cimelio. Anche quest’anno i portoveneresi si apprestano ad onorare, come 5 secoli e mezzo fa, la loro patrona protettrice, dedicandole, oltre a tutto, un’artistica Grotta di Lourdes, concepita, nei particolari, comprese le statue, da artigiani e da uno scultore del luogo.

 
     
     

  

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