1960 - Le spoglie dell'eremita Pacomio a Porto Venere

 

      

       Mentre il nostro golfo si appresta a ricevere ed onorare, nel prossimo settembre, le spoglie del suo patrono, san Venerio, può interessare il conoscere, per chi non lo sapesse, che la chiesa abbaziale di san Lorenzo di Porto Venere (consacrata dal papa Innocenzo II nel 1130) è la depositaria dei resti mortali di un altro grande eremita, san Pacomio, uno dei fondatori, nel IV secolo dell’era cristiana, del cenobitismo orientale.
       Com’essi siano pervenuti avventurosamente in tale sede, diremo in seguito, ed intanto non sarà fuori luogo premettere qualche breve notizia sullo storico personaggio. Com’è noto, il monachismo cristiano ebbe origine nell’alto Egitto, dove i primi asceti vissero dapprima separatamente come anacoreti riunendosi poi in colonie di monaci.
       Il fellah copto Pacomio fu uno di questi. Era nato a Ebetan, provincia della Nitria, da gente ricca, ma idolatra e durante la lotta fra Costantino e Massenzio aveva intrapreso un viaggio verso l’Italia, ma naufragato in terra cristiana, ne aveva assorbito la religione, ritirandosi in eremitaggio nell’alta Tebaide. Quivi, secondo la tradizione, Dio gli avrebbe dettato, come a Mosè le regole di una grande istituzione: il cenobitismo. Uomo di alta cultura ed intelligenza le tradusse subito in pratica, fondando a Tabennisi sulla riva del Nilo il primo stabilimento organizzato di monaci (anno 322 e. C.).
       Rimandiamo alle fonti competenti per la vita miracolosa di questo pioniere del cristianesimo, che aveva, oltre a tutto, il dono delle lingue e sarebbe morto il 14 maggio dell’anno IX dell’impero di Onorio ed Arcadia, alla bella età di 110 anni!
       Un giorno imprecisato dell’anno 12O4 mentre ferveva la guerra fra Pisa e Genova, straccava sulle rocce, o sulle spiagge, di Porto Venere, portatovi dalle onde e dal giuoco delle correnti, un grosso trave in cedro del Libano delle seguenti dimensioni: lunghezza 4 metri, sezione retta centimetri 40 x 40.
       Come di consueto, coloro che ne avevano eseguito il ricupero si accingevano a spaccarlo, dopo averlo tenuto per assai tempo esposto al sole, onde farne legna da ardere od altro uso, non senza averne constatato l’inusitata qualità e durezza; ma dovettero ben presto accorgersi — e non se ne conoscono i particolari — dell’esistenza, abilmente camuffata e ricoperta, di una grande cavità nell’interno.
       Come tutti possono ancor oggi constatare, dato che il prezioso relitto è tuttora esposto ai visitatori nella chiesa anzidetta, trattasi di nicchia scavata nel tronco per metri 1.50 di lunghezza per 30 centimetri di profondità. Essa conteneva numerose reliquie, oggetti religiosi e gioie che il Formentini ha giudicato — dalle poche che ne sono rimaste — di eccezionale rarità e valore, e fra le reliquie primeggiavano le ossa di san Pacomio, salvo il capo.
       A quanto pare, l’intero sacro deposito, con il tesoro annesso, erano ancora intatti a distanza di quattro secoli e mezzo, quando un famoso arcivescovo di Genova, il cardinale Stefano Durazzo — che primo introdusse in Italia le benefiche istituzioni dette di S.Francesco de’ Paoli — in una sua visita alla parrocchia di Porto Venere, il 2 novembre del 1644, ne fece redigere con pubblico atto il preciso elenco tuttora visibile a lato del trave.
       Eppure in quel periodo il baluardo genovese aveva subito una diecina di attacchi, fra i quali quello degli Aragonesi del 1494 che l’aveva ridotto ad estrema rovina. Si era fatta buona guardia intorno allo straordinario tesoro: non così in tempi più moderni, ché ripetutamente, nel 1878 e nel 1914, mani sacrileghe non esitarono a manometterlo, riducendo gli oggetti preziosi a ben poca cosa!
       In origine comprendevano, fra l’altro, una croce d’oro, con gemme portata dall’imperatore Costantino e due croci d’argento dorato con legno del Calvario. Fra le reliquie, oltre a quelle di S.Pacomio Abbate, rinchiuse in cassa d’argento, dove tuttora si trovano, vi erano reliquie di altri 36 santi, fra i quali S. Pietro, S. Paolo e S. Lorenzo. ne vi mancavano campioni di terra della Palestina e dei Luoghi Sacri, fra cui il Calvario, a denotare la precisa provenienza dei cimeli.
       Sulla provenienza del trave, si hanno dati vaghi e malcerti. Secondo alcuni il trafugamento delle preziose reliquie ed oggetti religiosi di gran pregio da conventi od altre istituzioni cristiane dei Luoghi Santi affidandoli alle correnti marine, fu una conseguenza della persecuzione degli Iconoclasti.
       E’ noto che nello stesso periodo un crocifisso di legno, riproducente l’esatto sembiante di Gesù Cristo approdava al lido di Luni e di là veniva trasportato a Lucca e deposto nella cattedrale, d’onde il titolo di « Città del Volto Santo » alla ridente cittadina toscana. Ma altri ritiene che si tratti di reliquie e tesoro messi in salvo per sottrarli all’occupazione musulmana della Palestina.
       Il Lamorati, arciprete di Porto Venere, scrivendo nel 1665 sulle vite dei SS. Venerio e Pacomio Abbati, asserisce, non sappiamo in base a quali fonti, che il prezioso contenuto del trave proveniva addirittura da Cesarea, conquistata dagli infedeli. Una nave l’avrebbe trasportato fino al nostro mare e quivi « da feroce burrasca lacerata venne a posare nella placidissima calma di Porto Venere, tutto deforme e impecciato (sic) quel legno, ossia trave ».
       Un modo un po’ confuso per dire che la nave era naufragata, o che ridotta a malpartito, si era liberata del pesante carico. L’idea, poi di nascondere i preziosi oggetti in un trave fu suggerita, come in altri casi, in previsione che la nave a cui era affidato potesse subire qualche spiacevole incontro durante il viaggio.
       Porto Venere ha eletto san Pacomio suo protettore; ma la ricorrenza passa generalmente inosservata di fronte a quella, tradizionalmente festeggiata, della Madonna Bianca, la cui immagine taumaturga, della quale è nota la storia assai suggestiva. viene venerata dal 1399 (17 agosto); ma è un errore ritenere, come qualcuno ha scritto, che essa fosse contenuta nel trave e del resto non ve n’è traccia nel famoso I elenco redatto dal cardinale Durazzo.
       Sono passati 756 anni da quando il trave venuto dal mare venne solennemente depositato nella chiesa di S. Lorenzo e trattandosi di legno appartenente a pianta assai longeva, esso ne contava forse altrettanti alla data del fortunoso ritrovamento: un cimelio millenario e di alto significato fra le vestigia storiche portoveneresi! Lo additiamo agli archeologi ed a quanti hanno a cuore il prestigio delle nostre più belle memorie paesane e d’interesse turistico, per una sistemazione meno negletta e più decorosa dell’attuale.

 
     
     

  

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