San Venerio patrono del Golfo

 

      

       Secondo le fonti più autorevoli il Patrono del Golfo - che questo si appresta ad onorare nel modo più degno - nasceva 14 secoli fa nel territorio di Portus Veneris, stazione navale romana citata nello Itinerarium  maritimum imperatori Antonini Augusto, cioè nell’attuale Porto Venere; ma sarebbe un errore d’identificare il vicus marittimo, poi castrum romano suddetto con l’attuale borgo genovese (la Colonia Januensis del 1113) la cui sagoma pittoresca ci è stata miracolosamente conservata, pur nelle sue non sempre felici trasformazioni a tanta distanza di secoli!
       Il Portus Veneris che dette il nome al santo era, secondo il Formentini ed altri archeologi, un più modesto aggruppamento di case abbarbicate a difesa dell’acrocoro portoreo, al quale dette il nome di San Pietro la primitiva chiesetta paleocristiana costruitavi nel IV-V secolo, a quanto pare sulle fondamenta di un precedente tempio pagano. Dominato da un piccolo castello (il Castrum Vetus, ora biblioteca civica, con annessa raccolta di quadri) si doveva presentare al navigante nella stessa guisa con cui colpiscono lo sguardo del viaggiatore alcuni degli strani paesini delle attigue Cinque Terre, dandogli l’impressione pittorica che il tempo si sia fermato.
       Il vecchio borgo continuò a sussistere, anche come parrocchia autonoma, contemporaneamente a quello nuovo genovese addossato al tipico « carruggio » ed alla chiesa di San Lorenzo, fino alla sua completa sparizione, dovuta ad eventi di guerra ed al grande incendio del 1340.
       Il periodo di vita di San Venerio, posto generalmente fra il 560 ed il 630, ebbe il suo ciclo luminoso nella cosiddetta Età dei Barbari, compresa fra la caduta dell’impero romano (476 d.C.) e la fine del dominio longobardo in Italia (774). La penisola italica aveva perduto la sua unità, contesa fra le orde barbariche d’Asia e del Nord Europa, che in parte osteggiate dall’impero d’oriente, le avevano dato un qualche respiro sotto il dominio dei Greci.
       Perciò la vita del Santo si può meglio isolare in quell’epoca romano-bizantina che segna gli ultimi fulgori della vita di Bisanzio, mentre una potente luce spirituale irradiava da Roma, sotto il grande pontificato di San Gregorio Magno.
       E se ne avevano vivi riflessi su tutto il territorio che dal Frigido si estendeva al golfo della Spezia, dominato dall’influenza economica e religiosa di Luni, la città romana dei marmi fondata nel 177 a.C. La graziosa Luni (o Luna) sui 25 mila abitanti, non ancora toccata dai barbari (verrà Rotari a distruggerne le mura nel 643) continuava a specchiare le sue costruzioni marmoree sul mare di Bocca di Magra, assai meno ristretto ed interrato di quanto non sia oggi, e vi si mantenevano fiorenti i commerci marittimi (specie con Roma, Corsica e Sardegna) mentre vi passava la strada consolare romana per Genova ed Ales ed altra la collegava per la valle del Taro alla Gallia Cisalpina.
       Luni era stata cristianizzata fin dai tempi apostolici e aveva dato alla Chiesa un glorioso pontefice (S. Eutichiano, dal 275 al 283) e sotto il pontificato di S. Gregorio Magno il suo vescovo ebbe importanza politica e religiosa di notevole vastità anche nei riguardi dei vescovi di Liguria e Toscana.
       Sulla cristianizzazione del golfo della Spezia si hanno notizie scarsissime. Se si ammette che la divulgazione della nuova dottrina, per ragioni pratiche abbia avuto maggior presa là dove esistevano stazioni romane, bisogna localizzare in Portus Veneris e Boron i centri di cristianizzazione apostolica del golfo.
       Fu, se non erro, il Formentini a formulare l’ipotesi che quest’ultima stazione sorgesse per l’appunto in località « l’Antoniana » allora bagnata dal mare, nei pressi della pieve di San Venerio; ne tratta la Tavola Peutingeriana ed il punto di approdo derivava la sua importanza dal trovarsi sulla via Aurelia.
       Inoltre il Formentini vi trovò vestigia di un cimitero paleocristiano, forse il primo del Golfo. Ma, secondo il De Negri, a Porto Venere prevalse l’influenza del monachesimo e la « buona novella » l’avrebbe raggiunta per virtù dei monaci che dal secolo IV cominciarono a popolare le isole del Tirreno, conducendovi vita penitente e di preghiere, qual era nelle tradizioni del primo cenobitismo cristiano orientale.
       Il Tinetto, S. Pietro di Porto Venere, dove i resti dei cenobi sono ben appariscenti, forse il Tino e S. Giovanni alla Palmaria, furono le tappe della cristianizzazione venuta dal mare, che si estese alle terre limitrofe, integrata dal soffio potente di fede religiosa promanante dai vescovi di Luni.
       San Venerio fu il prodotto meraviglioso di una di queste correnti; ma forse ambedue concorsero, per designazione divina, alla sua taumaturgica formazione. Spentosi solitario il 13 settembre del 630 nell’isola del Tino, il sacro corpo veniva posto al sicuro nel più vicino e forse unico cimitero cristiano del Golfo: a Boron, ove poi sorse nel secolo XI la pieve di San Venerio di Migliarina. Vi rimase, a quanto pare, fino all’860: Luni era già stata ripetutamente devastata ed i saraceni non risparmiavano con le loro scorrerie le coste liguri e toscane, infierendo particolarmente sugli uomini e le cose della religione. Perciò un vescovo previdente decise la traslazione dei resti del Santo in località dell’entroterra non soggetta alle incursioni del fanatismo musulmano.
       E’ difficile, dopo 11 secoli circa, rendersi ragione del passaggio trionfale delle spoglie di San Venerio lungo l’itinerario che le portava dal suo mare al secolare deposito di Reggio Emilia, se non pensando a condizioni di cose e di vita assai men prospere e meno facili delle nostre per cui la spiritualità impregnava le masse in grado sconosciuto alla nostra epoca tendenzialmente materialista!
       Da Reggio una processione di devoti « cum centum plebanis crucibus » si era mossa per incontrare il sacro convoglio al confine lunense e da ciò sarebbe derivato, secondo la tradizione, il nome dato al « passo delle Cento Croci » prossimo a quello ben noto del Cerreto.

 

 
     
     

  

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