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Anche per Porto
Venere, come per
gli altri luoghi
del Golfo e
delle riviere, è
squillato
ripetutamente
l’allarme degli
amici del
paesaggio, a
causa delle
nuove
costruzioni, le
quali, anziché
inserirvisi e
seguirne il
carattere, lo
deturpano,
avviandolo
inesorabilmente
verso il
monotono ed il
convenzionale.
In particolare,
e nell’attesa
che sia reso
pubblico il
sospirato «
piano regolatore
», desta
perplessità la
sistemazione
della già
incantevole «
cala dell’Olivo
», che aveva
tutte le
caratteristiche
per divenire una
seconda Paraggi.
Troppi casoni,
si lamenta, in
località più
adatta alle
piccole
costruzioni ed
alla
continuazione
delle
ombreggianti
pinete, formanti
la
caratteristica
delle precedenti
ville
ottocentesche.
Inizio poco
felice, per ora.
Ma lasciamo il paesaggio, e parliamo un po’
delle antichità,
l’altro fattore
di attrazione
per quanti
vengono a Porto
Venere per
cercarvi
qualcosa di
diverso dalle
sconcertanti,
chiassose
evasioni diurne
e notturne di
una società
decadente.
Fra i paesi rivieraschi e del Tirreno in
genere, Porto
Venere ha la
prerogativa di
possedere una «
zona monumentale
» che comprende
l’intero borgo,
quello originale
genovese del
1113 ancora
perfettamente
delimitato dalla
superba, massa
pentagonale del
castello
superiore, le
mura e le torri
ottimamente
conservate, il
fronte a mare
delle alte «
case-fortezza »
e la grande
barriera delle
impervie
scogliere
foranee. Se ciò
è un pregio,
bisogna anche
riconoscere che
costituisce una
notevole
difficoltà per
chi ha il
compito di
mantenere per
quanto possibile
intatta e
presentabile una
zona
monumentale, non
fine a se
stessa, come
tante altre, ma
funzionale, in
quanto in essa
vive, si agita
ed ha interessi
un’intera
popolazione. Il
che, in un certo
senso attenua,
ma non
giustifica del
tutto, le tante
deformazioni e
sofisticazioni
operate in un
passato non
remoto ai
lineamenti
originali del
paese; che vanno
dai tetti rossi
alle tante
lanterne,
terrazzi e
terrazzini ed
avancorpi,
specie sul
lungomare, alle
aggiunte fuori
stile nel
piazzale di San
Pietro (lato a
mare), alla
manomissione di
antichi portali
e smerlature e
via dicendo.
Sembra che ora il vento sia mutato e che si
cerchi di
salvare il
salvabile, ciò
che, del resto,
è nell’interesse
stesso della
popolazione che
fonda tre quarti
delle sue
risorse sul
turismo e
sull’attrattiva
pittorica ed
archeologica del
borgo quasi
millenario.
Ce ne danno affidamento, oltre
all’atteggiamento
dell’amministrazione
comunale, il
maggior
interesse che
desta l’antica
Portus Veneris
presso la
sovrintendenza
ai monumenti
della Liguria ed
in particolare
l’amore che
nutre per le sue
antichità il
funzionario
addetto,
architetto
Edoardo Mazzino,
al quale, nonché
al sindaco
Francesco
Bronzi, ci
permettiamo
segnalare « per
memoria » alcune
delle principali
necessità
dell’archeologia
portovenerese.
Primo il castello. Sono bastati la sommaria
ripulitura e le
ricostruzioni in
corso per
attirare verso
l’insigne
monumento una
massa che si
calcola già in
migliaia di
visitatori.
Completata la
cosiddetta «
casa del
castellano » che
metterà a
disposizione un
buon locale per
manifestazioni
estive, sarebbe
desiderabile
dare un migliore
assetto anche
alla grande sala
« ipostile »
cinquecentesca,
vera rarità
della regione, e
mettere in
programma
qualche scavo,
al fine di
portare alla
luce altri
locali, terrapienati in
conseguenza dei
mutamenti
susseguitisi
nell’arte delle
fortificazioni.
Additiamo poi al comune il miglioramento
dell’accesso e
degli approcci
d’intorno,
tuttora
malagevoli,
nonché
l’opportunità di
valorizzare
l’antica
fortezza
sottostante di
Sant’Ambrogio
(l’Ambreuggio in
dialetto),
togliendone
l’ormai superato
lavatoio. Questa
località
costituisce,
insieme
all’antico
camminamento che
vi fa capo, un
belvedere
insuperabile,
aperto
sull’immensità
del Golfo
Ligure, come la
romantica « Via
dell’Amore »
delle Cinque
Terre.
E già che siamo in argomento, vorremmo
anche richiamare
l’attenzione
sullo stato
d’abbandono
(ormai secolare)
dei «
carruggetti » e
scalinate varie
(le
caratteristiche
crose dei
genovesi)
comprese nella
parte alta del
borgo, distrutta
dal famoso
incendio del
1340.
A nostro avviso, le macerie che ne
rimangono
(ridotte a
perimetri di
orti... non più
coltivati e
maleodoranti)
non hanno alcuna
importanza
archeologica ed
agli effetti
paesaggistici
basterebbe
conservarne una
piccola fascia
intorno ai
castello. Tutto
il resto,
andrebbe
saggiamente ed
artisticamente
ricostruito,
sulle esistenti
e ben salde
fondamenta
basate sulla
roccia,
rispettando
quanto rimane di
stipiti ed
antichi portali
e, s’intende,
sotto la severa
sorveglianza
delle Belle
Arti.
Oggi la zona monumentale di Porto Venere,
quella abitata,
soffre di una
grave crisi
degli alloggi. I
«foresti»
comprano le
vecchie case
millenarie e le
trasformano per
l’uso estivo ed
i « nativi »
sono costretti
ad emigrare in
città... Cambia
l’economia
paesana; ma ne
cambia anche il
carattere
tradizionale: la
Porto Venere
marinara e
peschereccia, il
borgo rustico e
tranquillo, caro
ai pittori ed ai
poeti, di
cinquanta o
sessant’anni fa,
non è più che un
vago ricordo
nella mente di
pochi. Ed ha
velleità — come
vecchia signora
che si sa ancora
ricercata — di
rossetti e
ritrovi notturni
e vuole ad ogni
costo
aggiornarsi con
la moda del
tempo!
E sia pure. E’ arduo e faticoso, e non
sempre
opportuno, andar
contro corrente!
Ma venga resa
tabù la zona
monumentale,
riportata
all’onore del
mondo dall’opera
di tanti
benemeriti,
illustratori e
ricostruttori,
Cappellini,
Manfroni, Ubaldo
Mazzini, Ferro,
Imbrighi, De
Negri, Ubaldo
Formentini,
Ettore Andrea
Mori e tanti e
tanti altri dei
quali mi sfugge
il nome. L’opera
non fu
completata e
molto v’è ancora
da fare, e
d’altronde
occorre esser
vigili contro
l’usura del
tempo e la
corrosione degli
elementi. Vi
sono monumenti
insigni
abbandonati,
come la
cinquecentesca
Torre Scuola, e
non mancano
perplessità per
l’inestimabile
chiesa di San
Pietro, a causa
di grosse
venature nei roccioni foranei
che la
sostengono.
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