Che cosa fare della Palmaria

 

       La mozione della minoranza municipale portovenerese di fare della Palmaria un gran « parco naturale » è certamente rispettabile, pur osservando che altra volta si parlò di « parco nazionale », e non è voler giocare sulle parole l’asserire che fra i due vi è differenza sostanziale. Non chiarire, quindi, che cosa s’intenda per « parco naturale » può lasciare il dubbio che, una volta rimboschita l’isola tutto si voglia lasciare allo stato nativo di giungla (com‘è in parte attualmente) con i noti pericoli del fuoco e il disagio di chi voglia percorrerne su tutti i versanti i deliziosi anfratti. Un « parco nazionale » implica invece un assetto più disciplinato, per strade, sentieri, pulizia rigorosa del sottobosco divieti di caccia e numero adeguato di guardaboschi e guardacaccia, con le relative abitazioni.
       Detto questo, gli abitanti del Comune, i loro esponenti amministrativi e i numerosi aficionados di fuori che vi hanno la villa, o la « seconda casa » farebbero bene a guardarsi alle spalle, con l’eguale amore e la stessa preoccupazione dedicati alla più grande delle nostre isole, poiché le già boscose e feraci pendici della Castellana, del Muzzerone e il promontorio del Cavo sono decisamente avviati alla stessa sorte.
       Il lato ovest del golfo non ha avuto i Shelley, i Byron, i Mantegazza, Benelli ed altri che hanno fatto acquisire all’opposta sponda l’attributo di « costa dei poeti » e benché sacrificato per metà alle necessità militari, presentava fino a un quarto di secolo fa spunti pittorici, nel grigioverde dei suoi uliveti e nel verde più vivo delle sue pinete, non inferiori a quelli che fanno gettare grida così alte per il monte di Portofino e l’attiguo Tigullio.
       L’allarme dato in queste cronache poco tempo addietro sui pericoli dell’attuale « indisciplina del verde » ai margini di case e ville, attorniate da potenziali bracieri (oggi in Italia bruciano allegramente anche gli uliveti); l’appello ai competenti per una discussione sulla stampa (anche per una possibile ripresa delle colture collinari con criteri e metodi diversi da quelli patriarcali) non hanno avuto alcuna eco.
       Dobbiamo concludere che quando l’opinione pubblica tace, accetta l’ineluttabile?

 
     
     

  

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