1967 - Fascino e mistero della grotta vulcanica della Palmaria

 

       Da un distinto sportivo della Spezia che nei suoi svaghi da tempo libero preferisce, al rombante motoscafo d’altura, la quiete riposante della barca a vela, sentii decantare la bellezza del panorama foraneo delle nostre isole, contemplato non frettolosamente, dal largo nell’ora del tramonto: i raggi inclinati del sole si riflettono a specchio sugli strapiombi e sulle lame rocciose volte a ponente e danno all’intera barriera un’intensa colorazione giallo-oro che ha del fantastico e dell’irreale: un quadro degno del pennello di un grande pittore impressionista!
       Chissà che a dare tale tinta non concorra, insieme alla rifrazione atmosferica, un qualche effetto prodotto dalla natura speciale della roccia: la dolomia non stratificata (un carbonato di calcio e magnesio) mista agli strati sedimentari, contorti, rovesciati, incurvati, ricchi di conchiglie fossili, del calcare nero e bianco e del marmo portòro, rocce tutte a struttura cristallina od addirittura saccaroide.
       Fu il naturalista Gerolamo Guidoni di Vernazza — come dissi in un precedente articolo — a stabilire con chiarezza la composizione geologica delle isole e dei monti del nostro golfo e l’età degli strati (misurata in milioni di anni) deducendole dalle specie di conchiglie fossili raccolte. Così, le ammoniti con guscio calcareo e le belemniti (cefalopodi simili a seppie) del periodo triassico, nell’era cosiddetta « secondaria » nella quale si formarono i mari e gli oceani, qualcosa come duecento milioni d’anni fa... Lo stesso calcare marino fossilifero delle nostre isole costituisce le famose Tre Cime di Lavaredo, uno dei più noti e pittoreschi gruppi montuosi del Cadore (le Dolomiti)!
       Ma, senza dilungarmi più nell’opera pionieristica del Guidoni, vorrei mettere in rilievo un’altra sua ragione di priorità relativa ai terreni geologici della Palmaria, quale risulta da una già citata raccolta di scritti inediti di un mio avo paterno.
       Di solito, i barcaiuoli di Porto Venere, nell’accompagnare turisti e gitanti alle grotte, danno a queste nomi arbitrari, alcuni di recente coniazione, salvo per la « grotta di Byron » il cui nome resiste, a motivo della storica traversata del poeta inglese. Un nome abbastanza azzeccato è invece quello di « grotta vulcanica » dato, non so da chi, alla grotta della Cala Grande prossima alle Punte del Pitone e del Pitonetto ed alla, ormai dimenticata, « grotta dei Colombi ». Ma tutti si domandano: perché « grotta vulcanica »? Invero, il geologo Capellini l’aveva fatta battezzare « grotta Lazzaro Spallanzani » in onore del grande naturalista che sulla fine del 1700 aveva scelto Porto Venere per i suoi studi stratigrafici e di biologia marina, e sarebbe il caso di ritornare a questa denominazione della grotta più vetusta dell’isola.
       Orbene, al Guidoni non era sfuggita l’anomalia del terreno, di natura vulcanica per l’appunto, che ricopre quasi per intero il pendio, relativamente dolce della Cala Grande: « un conglomerato — sono le sue parole — dovuto ad irruzione plutonica prodotta da forze interne, al disotto di queste montagne; è apparente l’effetto del fuoco, essendo il conglomerato ammucchiato confusamente sul terreno stratificato di base ».
       Nell’anno 1857 La Spezia fu onorata dalla visita del più illustre fra i geologi inglesi, sir Charles Lyell, fondatore della geologia moderna. Lo accompagnarono in varie escursioni i giovani naturalisti Giacomino Doria (dell’illustre casata genovese, futuro presidente della Società Geografica Italiana, pioniere di scoperte africane, discendente di un ramo stabilitosi alla Spezia) e Giovanni Capellini (non ancora laureato).
       Più tardi, il Lyell denominava « rubble drift » quel tipo di sedimento vulcanico che ha dato luogo alla grotta della Cala Grande. Come i visitatori osservano, è una specie di impasto, o calcestruzzo, molto simile a quello prodotto artificialmente nelle grandi costruzioni. Esso costituisce proprio il tetto della grotta ed in parte le sue pareti, differendo del tutto la caverna dalle altre (prodotte da spaccature degli strati erose dal mare, con stalattiti, ecc.) che si aprono nella dirupata cornice foranea del Golfo.
       Non si tratta ovviamente dei cosiddetti « magmi » o lave vulcaniche, masse di rocce fuse nell’interno della Terra, eruttate nelle ere primarie di formazione della crosta terrestre, quando la Terra era ancora priva dei suoi mari ed oceani, e lo dimostra chiaramente la presenza degli accennati strati calcarei pieni di conchiglie fossili. Si ritiene, per contro, che questo « rubble drift », strano e durissimo impasto di ghiaie e ciottoli, sia stato eruttato da qualche cratere occasionale, sotto la pressione delle misteriose forze plutoniche agenti dall’interno, in epoca geologica più recente, ma sempre molti milioni d’anni prima della comparsa dell’uomo sulla Terra…

 
     
     

  

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