1967 - Una poesia in vernacolo dedicata a Portovenere

 

       L’ingegner Terenzio Del Chicca, mio affezionato compagno delle scuole elementari ed oltre, dopo aver servito La Spezia nel campo professionale e in quello civico, la serve ora amandola nelle sue memorie storiche, delle quali è appassionato ricercatore: una Spezia scomparsa, non solo materialmente, in un volger di anni relativamente breve.
       Nel 1964, procurandomi una rara raccolta di versi vernacoli del poeta spezzino cavalier Alberto Faggioni, (« A Sprugoa »), scritti alla fine del secolo scorso, egli mi diede il piacere di scrivere qualcosa sulla storica fonte, con la quale scomparve la vecchia Spezia, su questo stesso giornale (3 gennaio). Ora il Del Chicca ha rintracciato dello stesso poeta sprugolino (che fu apprezzato funzionario dell’Arsenale) una briosa poesia su Porto Venere, intitolata appunto «Portivene». Mi sembra utile farla conoscere, e per la freschezza marina dei versi, e perché dimostra l’amore e l’interesse che gli spezzini degli anni novanta nutrivano per l’ancor poco accessibile perla del lato occidentale:
 
       « En ter gorfo gh’è na perla
       ma l’è tanto ben ciantà
       che daa Speza ne gh’è verso
       de poteghe dae n’ocià.
       L’è là ‘n fondo passà e Grassie
       ente en specio de bellessa
       la gh’è ‘r mae chi la caéssa
       tuto ‘n zio de sà e de là.
       O Portivene! cao me posteto
       co’ e te cà aote tute a brasséto
       co’ e te fenestre sorve ae scogee,
       co’ i fioi che penda zu dae ringhee.
       Te, t’ei a perla che me a sospio
       e a me consolo quando a t’amìo
       o Portivene! me a voi cantàe
       che t’ei a perla d’ô nostro mae ».
 
       Proprio così: Porto Venere, nascosta alla vista del golfo, con le case alte, « tutte a braccetto », come il poeta spezzino la vedrebbe ancor oggi; ma un po’ più sofisticata nel suo sfondo pittorico e tutto particolare...
       Ma vi era un’altra ragione per la quale il poeta della Sprugola amava e sospirava « Portivene » e lo dice in altri versi che risparmio al lettore: la finestra della Annunziata (dea Nunsiata), che aveva stampata nel cuore, al principio del paese dove la sua bella gli appariva fra tendine e gerani fioriti. « E per questo — egli concludeva — t’amo e t’adoro Porto Venere, perché è lì dentro, in te e nelle tue case (forse nel poetico ed arcaico caruggio!) tutto il mio tesoro ».

 
     
     

  

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