Gino Montefinale:
Raccolta di articoli di storia, di radio, di mare

 

MARCONI «UOMO DI MARE»


 A tutte le decorazioni e gli onori preferì la targa donatagli dai superstiti del “Titanic„

 

Gazzetta del Lunedì, 11 aprile 1955

 

        L’articolo «Una data gloriosa – 28 marzo 1895» apparso su Gazzetta del Lunedì deplorava, ben a ragione, che non fosse stato ancora dato il nome di Guglielmo Marconi ad una grande nave della ricostruita flotta mercantile italiana. Nessun dubbio che l’articolista intendeva riferirsi ad una «nave di linea» del tipo di quelle che, dalla riconquistata unità ed indipendenza ad oggi, il popolo italiano ha sempre considerate le sue migliori rappresentanti nel mondo, specie nelle Americhe. E se, nel rinnovato clima atlantico d’oggi, l’Italia marinara compierà alfine tale dovere verso la memoria del suo Grande Figlio, sia permesso formulare l’augurio che il nome di Marconi vada a fregiare la poppa di una grande nave della flotta di interesse nazionale da destinarsi al traffico col Nord America, presso il cui popolo il grande inventore ebbe particolari riconoscimenti e grande, affettuosa, popolarità.

        Scrivere oggi ancora dell’opera e delle benemerenze di Marconi, sarebbe cosa vieta, particolarmente su questa Gazzetta in cui lo ha fatto in passato, con tanto amore e competenza, Luigi Solari, il più fedele – e che gli fu più vicino – fra i pochi testimoni diretti viventi del sorgere e affermarsi della «telegrafia senza fili» o radiotelegrafia, divenuta  poi la «radio» a carattere universale. Peraltro, qualche considerazione sui meriti marittimi di Marconi sembra essere utile ed accetta al lettore.

        La navigazione, dalle sue origini fino al 1900 circa, in cui furono impiantate le prime regolari stazioni r.t., costiere e su alcune navi da trasporto, ma, se si vuole essere più precisi, fino ai primi clamorosi salvataggi dei superstiti del Republic (1909) e del Titanic (1912), si era svolta nel più totale isolamento. Perdere di vista la costa significava affrontare l’ignoto in tutta la sua estensione, con tutti i rischi che comportava; molte navi sparivano «corpo e beni» nel più assoluto mistero, e tale fu la fine di un grande transatlantico francese carico di passeggeri – in Atlantico, se ben ricordiamo il Bretagne – poco tempo prima dello scoccare della magica scintilla marconiana a Pontecchio! Ma quante non furono egualmente le vite umane perdutesi, per inefficienza dei «segnali di soccorso» dell’epoca, a breve distanza, ed anche in vista, dei litorali? Forse qualcuno ricorda ancora la tragica collisione notturna fra i piroscafi Ortigia e Maria P. a poche miglia al largo dell’isola del Tino, con qualche centinaio di emigranti scomparsi in mare, ed i morti per ustioni sulla torpediniera Aquila, a causa delle caldaie scoppiate fuori Punta Mesco, rimasti abbandonati sulla nave inabilitata per ore ed ore in pieno giorno e recuperati finalmente da una «manaita» da pesca.

        Invenzione «terriera», all’origine, il «telegrafo senza fili» di Marconi, dopo il crisma del riconoscimento ufficiale datogli a Londra nel 1896, riceveva il battesimo dell’acqua salsa alla Spezia nel luglio 1897, dove il giovanissimo inventore, e scopritore ad un tempo della proprietà delle onde hertziane  di propagarsi lungo la superficie terrestre, s’incontrava per la prima volta con navi e marinai italiani, stringendo legami che non si allentarono mai, fino alla sua immatura scomparsa. Un salto di grillo, la portata di segnale sui 18 km raggiunta sul San Martino, rispetto ai 1.700 km battuti con la Carlo Alberto nel 1902 (attraverso masse continentali e marine) ed agli 11.000 km sul Principessa Mafalda a Buenos Aires nel 1910 (oggi i radio telescopi esplorano col radar le galassie!); ma l’esperienza ha importanza in quanto sanzionava per la prima volta il pratico funzionamento degli apparecchi marconiani nell’ambiente ristretto e disturbato delle navi.

        Iniziava così dal ligure «Golfo della Spezia» il periodo più affascinante (direi aureo e romantico) dello sviluppo della grande invenzione, la radiotelegrafia navale, quella che le ha fatto bruciare tutte le sue tappe risolutive e luminose, vincendo difficoltà e differenze, attraverso lotte e vittorie, condotte personalmente dall’inventore, fattosi marinaio. Ben a proposito ciò fece dire al sommo Sir Oliver Lodge in uno dei suoi libri che «Marconi advanced the art of radio by some 10 years». La sua figura si era resa popolare, in circa 90 traversate dell’Atlantico, sempre per ragioni di lavoro, sulle tolde dei più famosi transatlantici, compresi i più noti di bandiera italiana e quando nel 1920 il periodo dello sviluppo si poteva dire praticamente concluso – per lo meno agli effetti della sicurezza e dei salvataggi – scelse ancora una nave, l’Elettra per affrontare il secondo, assillante problema delle radiocomunicazioni: quello di metterle in concorrenza con la telegrafia ordinaria ed i cavi sottomarini.

        Nove campagne sul popolare yacht, dal 1920 al 1930, di continui accertamenti tecnici nel grande laboratorio dell’oceano, che si concludono con un evento rivoluzionario nel campo delle telecomunicazioni fra punti fissi: le stazioni «a fascio», i ponti radio ad onde corte!

        Comincia una nuova era, quella della radio che impregna delle sue manifestazioni tutta la civiltà. E Marconi, instancabile, ora con la sua Elettra definitivamente sui mari italiani, prepara il terreno di sviluppo alle «microonde» che daranno il radar.

        Laureato «honoris causa» di 15 Università di tutto il mondo, comprese Oxford, Cambridge, Columbia Un., Bologna, Pisa, ecc.; Linceo e membro della Royal Society of Arts di Londra e di altre 20 Accademie ed Associazioni scientifiche del mondo intero; Premio Nobel per la Fisica, detentore di 10 Medaglie d’Oro al merito umanitario e scientifico, lo sentii un giorno affermare, fra un’esperienza e l’altra a bordo dell’Elettra, che la ricompensa alla quale teneva di più era la Targa d’oro assegnatagli dai superstiti del Titanic! Essendosi recato ad incontrarli al loro sbarco a Nuova York, essi lo avevano accolto con grida di «Vi dobbiamo la vita!». In Inghilterra gli diedero il titolo di «sir», in Italia fu nominato senatore ed in seguito gli fu conferito il titolo di marchese.

        La nuova democrazia italiana non potrebbe onorarne meglio la memoria che ponendo il suo nome prestigioso nella Flotta mercantile accanto a quelli, di eguale risonanza, di Cristoforo Colombo e di Andrea Doria, e tutto il mondo marinaro plaudirebbe.

 

         Gino Montefinale

 


 

torna a Indice articoli

 

 

 

HomeI libriI libri inediti Gli articoliGli interventiGino Montefinale BiografiaContattaci