MARCONI «UOMO DI MARE»
L’articolo «Una data gloriosa – 28 marzo 1895» apparso su
Gazzetta del Lunedì deplorava,
ben a ragione, che non fosse stato ancora dato il nome di Guglielmo Marconi
ad una grande nave della ricostruita flotta mercantile italiana. Nessun
dubbio che l’articolista intendeva riferirsi ad una «nave di linea» del tipo
di quelle che, dalla riconquistata unità ed indipendenza ad oggi, il popolo
italiano ha sempre considerate le sue migliori rappresentanti nel mondo,
specie nelle Americhe. E se, nel rinnovato clima atlantico d’oggi, l’Italia
marinara compierà alfine tale dovere verso la
memoria del suo Grande Figlio, sia permesso formulare l’augurio che il nome
di Marconi vada a fregiare la poppa di una grande nave della flotta di
interesse nazionale da destinarsi al traffico col Nord America, presso il
cui popolo il grande inventore ebbe particolari riconoscimenti e grande,
affettuosa, popolarità.
Scrivere oggi ancora dell’opera e delle benemerenze di Marconi, sarebbe cosa
vieta, particolarmente su questa Gazzetta in cui lo ha fatto in passato, con
tanto amore e competenza, Luigi Solari, il più fedele – e che gli fu più
vicino – fra i pochi testimoni diretti viventi del sorgere e affermarsi
della «telegrafia senza fili» o radiotelegrafia, divenuta
poi la «radio» a carattere universale. Peraltro, qualche
considerazione sui meriti marittimi di Marconi sembra essere utile ed
accetta al lettore.
La navigazione, dalle sue origini fino al 1900 circa, in cui furono
impiantate le prime regolari stazioni r.t.,
costiere e su alcune navi da trasporto, ma, se si vuole essere più precisi,
fino ai primi clamorosi salvataggi dei superstiti del
Republic (1909) e del
Titanic (1912), si era svolta nel
più totale isolamento. Perdere di vista la costa significava affrontare
l’ignoto in tutta la sua estensione, con tutti i rischi che comportava;
molte navi sparivano «corpo e beni» nel più assoluto mistero, e tale fu la
fine di un grande transatlantico francese carico di passeggeri – in
Atlantico, se ben ricordiamo il
Bretagne – poco tempo
prima dello scoccare della magica scintilla marconiana a Pontecchio! Ma
quante non furono egualmente le vite umane perdutesi,
per inefficienza dei «segnali di soccorso» dell’epoca, a breve distanza, ed
anche in vista, dei litorali? Forse qualcuno ricorda ancora la tragica
collisione notturna fra i piroscafi
Ortigia e
Maria P. a poche miglia al largo
dell’isola del Tino, con qualche centinaio di emigranti scomparsi in mare,
ed i morti per ustioni sulla torpediniera Aquila, a causa delle caldaie
scoppiate fuori Punta Mesco, rimasti abbandonati sulla nave inabilitata per
ore ed ore in pieno giorno e recuperati finalmente da una «manaita»
da pesca.
Invenzione «terriera», all’origine, il «telegrafo senza fili» di Marconi,
dopo il crisma del riconoscimento ufficiale datogli a Londra nel 1896,
riceveva il battesimo dell’acqua salsa alla Spezia nel luglio 1897, dove il
giovanissimo inventore, e scopritore ad un tempo della proprietà delle onde
hertziane di propagarsi lungo
la superficie terrestre, s’incontrava per la prima volta con navi e marinai
italiani, stringendo legami che non si allentarono mai, fino alla sua
immatura scomparsa. Un salto di grillo, la portata di segnale sui 18 km
raggiunta sul San Martino,
rispetto ai 1.700 km battuti con la
Carlo Alberto nel 1902 (attraverso masse continentali e marine) ed agli
11.000 km sul Principessa Mafalda
a Buenos Aires nel 1910 (oggi i radio telescopi esplorano col radar le
galassie!); ma l’esperienza ha importanza in quanto sanzionava per la prima
volta il pratico funzionamento degli apparecchi marconiani nell’ambiente
ristretto e disturbato delle navi.
Iniziava così dal ligure «Golfo della Spezia» il periodo più affascinante
(direi aureo e romantico) dello sviluppo della grande invenzione, la
radiotelegrafia navale, quella che le ha fatto bruciare tutte le sue tappe
risolutive e luminose, vincendo difficoltà e differenze, attraverso lotte e
vittorie, condotte personalmente dall’inventore, fattosi marinaio. Ben a
proposito ciò fece dire al sommo Sir Oliver Lodge in uno dei suoi libri che
«Marconi
advanced the art of radio by some 10 years».
La sua figura si era resa popolare, in circa 90 traversate dell’Atlantico,
sempre per ragioni di lavoro, sulle tolde dei più famosi transatlantici,
compresi i più noti di bandiera italiana e quando nel 1920 il periodo dello
sviluppo si poteva dire praticamente concluso – per lo meno agli effetti
della sicurezza e dei salvataggi – scelse ancora una nave, l’Elettra
per affrontare il secondo, assillante problema delle radiocomunicazioni:
quello di metterle in concorrenza con la telegrafia ordinaria ed i cavi
sottomarini.
Nove campagne sul popolare yacht, dal 1920 al 1930, di continui accertamenti
tecnici nel grande laboratorio dell’oceano, che si concludono con un evento
rivoluzionario nel campo delle telecomunicazioni fra punti fissi: le
stazioni «a fascio», i ponti radio ad onde corte!
Comincia una nuova era, quella della radio che impregna delle sue
manifestazioni tutta la civiltà. E Marconi, instancabile, ora con la sua
Elettra definitivamente sui mari
italiani, prepara il terreno di sviluppo alle «microonde» che daranno il
radar.
Laureato «honoris causa» di 15 Università di tutto il mondo, comprese
Oxford, Cambridge, Columbia Un., Bologna, Pisa, ecc.; Linceo e membro della
Royal Society of Arts
di Londra e di altre 20 Accademie ed Associazioni scientifiche del mondo
intero; Premio Nobel per la Fisica, detentore di 10 Medaglie d’Oro al merito
umanitario e scientifico, lo sentii un giorno affermare, fra un’esperienza e
l’altra a bordo dell’Elettra, che
la ricompensa alla quale teneva di più era la Targa d’oro assegnatagli dai
superstiti del Titanic! Essendosi
recato ad incontrarli al loro sbarco a Nuova York, essi lo avevano accolto
con grida di «Vi dobbiamo la vita!». In Inghilterra gli diedero il titolo di
«sir», in Italia fu nominato senatore ed in seguito gli fu conferito il
titolo di marchese.
La nuova democrazia italiana non potrebbe onorarne meglio la memoria che
ponendo il suo nome prestigioso nella Flotta mercantile accanto a quelli, di
eguale risonanza, di Cristoforo Colombo e di Andrea Doria, e tutto il mondo
marinaro plaudirebbe.
Gino Montefinale
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