Gino Montefinale:
Raccolta di articoli di storia, di radio, di mare

 

 

NELLA VECCHIA E NUOVA MARINA


Plancia Ammiraglio, vol.I

 

 

        Nella «vecchia Marina», e forse anche nell’attuale, la presentazione al Comandante di una nave, del cui Stato Maggiore un ufficiale entrava a far parte, doveva avvenire, secondo le norme regolamentari, all’«alza bandiera», cioè alle otto precise. Chi lo avesse fatto con notevole ritardo, andava a rischio d’iniziare in modo alquanto brusco la sua vita nella piccola «famiglia di bordo»; nella quale tutto era, ed è, puntualità cronometrica. Ben edotto di ciò, il guardiamarina V.T., al quale era giunto l’ordine di imbarcare il 20 marzo 1901 - data memorabile della sua vita - sopra la corazzata «Ammiraglio di Saint Bon» (gemella della «Emanuele Filiberto»), che completava a La Spezia le prove di macchina, prima d’entrare a far parte della Squadra, alle sette e mezza si trovava al porticciolo, indossando la gran divisa prescritta. L’ampio golfo formicolava di navi della «squadra attiva». Vi torreggiava ancora una delle due «Lepanto»; vi si scorgevano, più bassi di bordo, i tre tipi «Morosini» e le tre maestose e più agguerrite «Sardegna» accanto agli incrociatori «Carlo Alberto» ed al primo dei più moderni tipi «Garibaldi», mentre non vi mancavano campioni costituenti la «pousserie navale» dei piccoli incrociatori, degli avvisi, cannoniere, ecc. che la Marina si rimorchiava appresso, talvolta per lunghi anni, perché richiesto dalle necessità dei tempi, non sempre di ordine bellico, ed in disparte la vecchia «Duilio» ed uno o due veterani di Lissa. Le navi erano dipinte in nero nell’opera morta, con le sovrastrutture in bianco ed i fumaioli gialli. Lo sguardo di V.T. si era fissato su di un’unità di tipo un po’ diverso dalle altre, più bassa, che sembrava avere due torri, una a prora e l’altra a poppa.

        Essendo giunti fuori del molo Lagora, il barcaiuolo aveva chiesto precisazioni sul nome della nave, che si trovava in un gruppo di altre con la prua a sperone adibite a scuole dei volontari specialisti.

- «su quale deve andare?»

- «sulla più esterna, la “Saint Bon„» aveva risposto

- «ma la “Saint Bon„ è in arsenale..! quella è l’“Affondatore„…!» Era proprio il vecchio monitore, sul quale era trasbordato inopinatamente l’ammiraglio Carlo di Persano nella confusione dello scontro di Lissa! Osservandolo bene s’era accorto quale genere di granchio aveva preso! In breve il battello riattraccava alla banchina ed il giovane ufficiale, stretta la mano al battelliere e salutato da un suo augurale «Grazie e buona fortuna!», aveva messo le ali ai piedi e si avviava, piuttosto trepidante, verso la «Saint Bon» ancora lontana, ormeggiata in piena darsena!

        In un ufficio di ben modeste dimensioni, stava seduto, al centro della batteria della nave, al suo tavolo di comandante in 2a , un capitano di fregata, biondo, con gli occhi chiari, i capelli alla Umberto, la barbetta a punta, il quale firmava delle carte che gli porgeva un sottufficiale: «Paolo Thaon di Revel». Al guardiamarina V.T. presentatosi quel mattino insieme ad altro collega, poche parole di saluto, brevi e cortesi, insieme alle istruzioni relative alle loro destinazioni. «Osservo però che si sono presentati con notevole ritardo rispetto all’ora prescritta dal regolamento e dovrei provvedere di conseguenza… Possono andare».

        Con la genuina semplicità di questo episodio, del quale era stato il protagonista Vittorio Tur dà inizio ad un libro di ricordi assai interessante, inteso, verosimilmente, a far conoscere ai giovani l’ambiente marinaro nel quale ha vissuto tanti anni della sua lunga carriera ed a rievocarne il ricordo in quanti nelle sue stesse condizioni, ne hanno tuttora il nostalgico rimpianto. Del libro, annunciato in tre volumi, è appena uscito il primo («Plancia Ammiraglio»), e l’Autore, ammiraglio di squadra R.N., così ne giustifica il titolo: «come dall’alto della plancia l’ammiraglio vede le sue navi, così con questo libro ho cercato di dare uno sguardo alla Marina dal 1897 al 1945, anni che segnano l’inizio e la fine della mia vita marinara».

        Per l’Ufficiale di Marina che ha vissuto intensamente il proprio «curriculum vitae», senza mai perdere, nella buona e nell’avversa fortuna, l’amore al «mestiere» ed il forte attaccamento all’ambiente nel quale lo ha appreso e quindi esercitato, scrivere un libro di ricordi è soprattutto un bisogno dell’animo. Chi lo sa fare con spontaneità e buona arte rende un segnalato servizio alla Marina, istituzione intramontabile per i popoli che non vogliono rinunciare all’attività ed agli interessi «d’acqua salsa» propri della posizione geografica del paese in cui vivono, e nella quale la tradizione di un’epoca s’innesta con quella dell’epoca che immediatamente le succede.

        È la tradizione che trae origine e sostanza soprattutto nelle tante piccole «famiglie di bordo» costituenti la Marina in un determinato periodo, con le azioni, il modo di pensare, le virtù e i difetti, l’«humour» stesso, di capi e gregari. L’annotatore che ne ha fissato diligentemente il ricordo, connesso agli avvenimenti dei quali è stato attore o spettatore, dispone già di un buon materiale per tracciare la fisionomia dell’istituzione nel periodo anzidetto. È il metodo seguito a suo tempo dall’indimenticabile «Jack la Bolina» (Augusto Vittorio Vecchi) nel darci un quadro vivo e veritiero della «Marina giovane» quale l’aveva vissuta dal 1859 al 1885, nelle ora introvabili «Memorie di un Luogotenente di Vascello», che certo hanno contribuito, più di tanti scritti dottrinari, a trasfondere nelle nuove generazioni di ufficiali usciti dall’Accademia di Livorno lo spirito animatore della prima Marina risorgimentale. Trascorrendo le pagine del libro del Tur, ci sembra di scorgervi un mondo analogo. Egli non si limita alla arida cronaca dei suoi imbarchi e delle varie peregrinazioni sui mari, quale si potrebbe dedurre da un Giornale di Bordo; ma entra nel vivo di uomini e cose, fatti e fatterelli, attuali e retrospettivi, che hanno attinenza con la vita di squadra o le campagne all’estero compiute dalle navi del suo tempo, ch’erano molto frequenti nel fortunato periodo che va fino alla prima guerra mondiale.

        Una Marina che al principio del secolo contava appena un quarantennio di vita disponeva di una pleiade di bei nomi, passati od ancora presenti, che l’avevano onorata nei campi più svariati, illuminando il cammino delle nuove generazioni con sprazzi di luce, per taluni non ancora affievoliti: Giovan Battista Magnaghi, Costantino Morin, Simone Pacoret di Saint Bon, Giuseppe Palumbo, Benedetto Brin, Carlo Alberto Racchia, Vittorio Arminjon, Napoleone Canevaro, i due Acton, Candiani, Lovera de Maria, Marchese, de Libero, Gualtiero, Accinni, Bertolini, Chierchia ed altri ancora. Sono i fondatori della Marina Militare Italiana.

        Un piccolo mondo perduto, anche questo, da quando la Grande Disillusa (e mutilata) del 1945 ha trasportato altrove la sua sede principale e le sue splendide scuole piene di tradizione, declassando La Spezia di Cavour e Domenico Chiodo al ruolo di base secondaria. Fu un bene? Fu un male?

 

         Gino Montefinale

 


 

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