Gino Montefinale:
Raccolta di articoli di storia, di radio, di mare

 

 CON LE CARAVELLE DI COLOMBO ALLA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO


        

Napoleone, nel suo esilio disperato a Sant’Elena fece scrivere a Las Casas nel famoso Memoriale «Si parlerà e si scriverà di me sino alla fine dei secoli». Non altrimenti dovremmo dire noi, suoi conterranei, di Cristoforo Colombo, la cui opera e la cui figura, circondata da un certo alone di mistero, continua e continuerà ad interessare negli anni l’indagine degli studiosi. Peraltro, l’affermazione del primo potrebbe essere smentita dai fatti, se un giorno il ricordo delle guerre che afflissero l’umanità e dei grandi condottieri che ne furono gli strumenti dovesse affievolirsi, o cancellarsi del tutto, dalla memoria degli uomini. Non sarà così, ne siamo certi, dei grandi costruttori della Civiltà, veri fari luminosi sulla via del progresso umano; essi continueranno ad essere additati alle generazioni, studiati e fatti rivivere in continuazione, per trarne materia d’incitamento ad una migliore valorizzazione delle risorse conferiteci dal Creatore.

Queste impressioni ci sorsero alla mente scorrendo le parole di una nuova opera sul grande navigatore genovese, testé compilata da uno dei maggiori cultori di cose colombiane: Ignazio Oreste Bignardelli 1. Vorremmo consigliarla specialmente – in quanto trattasi di esposizione non cattedratica, e quindi facile ed attraente – ai capitani marittimi, come utile distensione e fonte di cultura, nelle poche ore d’ozio della navigazione; ma anche a tutti coloro, vecchi o giovani, che in quest’epoca di altisonante superficialità sanno ancora apprezzare il meglio del nostro passato.

Le grandi scoperte od invenzioni destinate a segnare una svolta decisiva (un colpo di timone) nella storia dell’umanità sono sempre l’atto finale di un lungo processo di evoluzione di idee e conoscenze, di nuovi mezzi e possibilità acquisiti al progresso. Ed ecco, alla sua piena maturazione, l’«uomo di genio» che solo sa vedervi quello che sfugge ai suoi simili, a cogliere il gran frutto, a lanciare l’idea rivoluzionaria ed innovatrice, che sulle prime li lascia attoniti e smarriti, fino a tacciare di visionario colui che con molta audacia se n’è fatto araldo e propugnatore!

È quanto è avvenuto a Colombo, a Galileo, a Marconi e forse a tanti altri che il paziente lettore saprà discernere fra i non pochi, altissimi costruttori, dell’odierno viver civile. Il Bignardelli ci dà il quadro più esatto e veritiero, all’inizio del suo pregiato volume, del concetto geografico che si aveva nell’Evo Antico e nel Medio dell’Oceano e delle terre in esso racchiuse, in una Terra piatta e discoidale nella quale il primo era una specie di largo fiume contornante la massa delle terre stesse, detta Ecumene… poi l’idea della sfericità della Terra si fa strada, pur attraverso contrastata e lentissima elaborazione, ed i primi naviganti mediterranei, superato il nec plus ultra delle Colonne d’Ercole, cominciano ad essere attratti dall’ignoto atlantico che la superstizione popolava di strani mostri e di grandi pericoli. Sono i genovesi a sollevare in parte il gran velo ed a sfatare le leggende con le loro punte audaci alle Canarie, a Madera ed agli altri arcipelaghi oceanici; ma la tendenza dei potentati iberici è quella di dirigere le navigazioni verso l’Asia mediante la circumnavigazione dell’Africa, già tentata da Vivaldi nel 1291, e che fu atto compiuto nel 1488.

A questo punto è la Rinascenza fiorentina a portare un contributo decisivo al problema dell’Oceano, affermando, per bocca di Paolo dal Pozzo Toscanelli, che questo si estendeva in longitudine per 130°, di fronte ai 230° occupati dalle terre, ma commettendo un errore di circa 10.000 km in meno nella misura della circonferenza terrestre, per la diversa valutazione fatta della lunghezza lineare del grado. Ad ogni modo il Toscanelli, in un’epoca dominata dall’idea di raggiungere l’India ed il Catai di Marco Polo attraverso quella che sarà dopo la sua morte (1482) la nuova via del «Cabo da Boa Esperança» nella sua famosa lettera ad un personaggio della Corte portoghese (1474) faceva intravedere la possibilità di ottenere lo stesso scopo con un viaggio di sole 6.300 miglia verso occidente, risparmiando i disagi e le sofferenze dovuti alla lunga risalita dell’Oceano Indiano.

Ma ebbe allora notizia il Genovese – che la tradizione porta naufrago in terra iberica due anni dopo – della lettera del Toscanelli? Ed il carteggio fra Colombo e il dotto fiorentino è romanzo o realtà? Secondo il Bignardelli non si ha alcuna prova, né che Colombo prendesse conoscenza della lettera del Toscanelli (era un documento scottante, insieme alla carta che lo accompagnava, ed il re del Portogallo aveva interesse a mantenerla top secret nei suoi archivi) né dell’avvenuta corrispondenza fra i due uomini eminenti: la verità storica si concreta quindi nella supposizione che l’idea di navigare a ponente per giungere alle terre del «Sol Levante» si fosse formata separatamente, ed attraverso un processo diverso, nella mente, volta alle grandi cose, di ambedue. Chè se Colombo avesse posseduto il linguaggio delle cifre appreso dalla consultazione dei documenti toscanelliani, forse il colloquio di Salamanca (fine del 1486) avrebbe assunto sviluppi diversi, né si sarebbe dato pena di consultare e postillare quei manuali teorici, a noi pervenuti, che gli dovevano dare conferma della possibilità del suo progetto temerario.

Ma, intendiamoci, Colombo non era un navigante praticone, ignaro dei principi della cosmografia e dell’astronomia nautica d’allora! Aveva frequentato le magnifiche scuole che la corporazione genovese dei lanaiuoli teneva nel quartiere di Sant’Andrea e si sa che la corporazione non limitava il suo campo strettamente al mestiere, ma estendeva la sua sfera d’azione a tutte le questioni attinenti, in questo caso la navigazione ed i trasporti della produzione laniera, di cui Genova godeva il primato, nei paesi più lontani 2.

Dopo di ciò, dobbiamo ancora ritenere il fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli, medico, geografo, matematico, cosmografo e filosofo di gran merito, il gran precursore della scoperta del Nuovo Mondo, quale lo definisce qualche storico moderno? Evidentemente si, nel significato letterale della sua concezione scientifica e teorica, esposta nei documenti originali inviati alla Corte portoghese nel 1474, dei quali però si è perduta ogni traccia. La lettura delle minuziose argomentazioni addotte dal Bignardelli lascia invece l’impressione che la concezione del Genovese ne sia del tutto estranea, come, del resto, non è nemmeno dimostrabile, con fondamento storico e logico, che lo Scopritore si servisse della carta del Toscanelli nel leggendario 1° Viaggio.

Ci siamo trattenuti più a lungo sulla questione, in quanto ci appare la chiave che aprì la via alla fama di questo «Grande della storia» che in seguito ebbe a sfolgorare in tutto il suo splendore: a) per l’abilità con cui condusse la sua prima navigazione verso il Nuovo Continente; b) per l’oculata e saggia esplorazione dell’arcipelago scoperto; c) per l’eccezionale perizia dimostrata nel fortunoso viaggio di ritorno, in regime di venti e di mare sconosciuti ai navigatori del suo tempo; d) per le doti di navigatore e di scopritore spiegate nei successivi quattro Viaggi; e) per la nobiltà d’animo con la quale accettò l’ingratitudine e l’incomprensione dei suoi beneficati.

Nel resto del libro, e segnatamente nella Parte Seconda, l’A. ci dà il quadro completo dell’epoca colombiana dalla partenza delle caravelle da Palos al mortale trapasso del Grande Genovese, quale risulta dalla più attendibile ed autorevole analisi storica. Nessun punto della vita avventurosa e dell’opera di Colombo cosicché il semplice lettore all’appassionato studioso vi trovano condensato quanto è stato detto e scritto finora dai più eminenti ricercatori in materia colombiana. Si deve esser grati altresì all’illustre compilatore, per la bella raccolta di rare incisioni relative alla vita ed ai tempi di Colombo, tratte in maggior parte da musei e biblioteche che le conservano gelosamente.

Nel concludere la sua opera, il Bignardelli dedica varie pagine alla dibattuta questione «se il Vecchio Mondo ha giustamente battezzato il Nuovo». Alcuni infatti, hanno sostenuto che il Nuovo Mondo è stato ragionevolmente battezzato col nome America, in riconoscimento del grande contributo portato alla sua delimitazione geografica dal nostro Amerigo Vespucci; altri, che ciò costituisce l’onta più grave che si sia potuta arrecare alla memoria dello Scopritore. Per quanto sia anche questa – e come non potrebbe esserlo? – l’opinione dell’A., di questa ingiustizia, o capriccio, della storia viene data l’esatta e banale versione: fu un oscuro cosmografo della Corte Ducale di Lorena a proporre nel 1507 il nome di Amerigia (o Terra di Amerigo, o America) per la parte settentrionale del Continente Sud Americano. Effettivamente era stato Amerigo Vespucci, con le determinazioni di longitudine fatte, per la prima volta, nei suoi due viaggi accertati (del 1499-1500 e del 1500-1501) a far conoscere che le terre scoperte appartenevano ad un mondo nuovo e non all’Asia – come Colombo aveva creduto finché visse – ed i geografi e l’Europa in genere lasciarono che il nome si estendesse a tutto l’immenso continente, immemori della gloria di Colui che il 20 maggio 1506, vigilia della Festa dell’Ascensione, moriva a Valladolid. Le tre parolette Aqui murio Colón, incise su di una lastra di marmo murata sulla facciata di una casacci di quella città, ricordano ai posteri – scrive il Bignardelli – il luogo in cui si spense il più Grande Marinaio dell’Umanità!

 

Com.Ing.Gino Montefinale

 

La Marina Italiana, dicembre 1959

 

 

1 I.O.Bignardelli: Con le caravelle di Colombo alla scoperta del Nuovo Mondo. Volume rilegato di pagg.339-XVI, in 9 capitoli con introduzione e seguiti da un indice dei nomi, con 88 figure nel testo. Unione Tipografica Editrice Torinese, Torino, 1959. Prezzo Lire 3.000

 

2 Vedasi anche Gino Montefinale: Colombo marinaio e navigatore, in «Raccolta Bollettini del Civico Istituto Colombiano», 1956.


 

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