Gino Montefinale:
Raccolta di articoli di storia, di radio, di mare

 

VELIERI DEL RISORGIMENTO


Dal taccuino di un esule

 

La Marina Italiana, dicembre 1960

 

 

Ai quattro colpi doppi delle otto alla campanella di poppa Gabriele si svegliò dal sonno profondo in cui lo avevano immerso la stanchezza e le emozioni dei giorni precedenti. Dall'oblò in cristallo del soffitto entrava scialba la luce del giorno; il piccolo ambiente ricavato sull'estrema struttura del coronamento di poppa, in simmetria col ripostiglio dei cronometri e degli strumenti nautici, riceveva aria dalla sola porta; era una vera scatola per due persone: Gabriele, passeggero clandestino, e capitan Faridone, l'allievo di bordo. Ancora offuscati dalla nebbia del sonno, i suoi occhi attenti stavano a riconoscere le cose dintorno, non comprendendo subito come esse non fossero quelle che solevano accoglierlo con volto amico al suo primo svegliarsi, nella linda cameretta di Salita Santa Brigida. Dalla cuccetta sottostante giungevagli il respiro calmo dell'allievo, ancora in braccio al sonno dei suoi vent'anni: certamente il giovane aveva vegliato la notte in servizio sul ponte.

Il barco doveva essere fortemente sbandato sulla sinistra; il mare sembrava calmo; vi era certo buon vento. Dall'esterno il rigurgito dell’acqua sulle forme stellate di coppa produceva un suono continuo ed armonioso come lo scorrere di un torrente montano; i frenelli del timone davano strappi sulle pulegge di guida ai frequenti richiami della ruota; la grande ossatura di legno aveva ogni tanto strani scricchiolii, come di reazione alla spinta immane del vento sulla velatura. Nessuna voce del bordo giungeva a quel recesso estremo della nave: eppure il grande scafo viveva la sua vita rude e di forza, per aprirsi una via verso la meta lontana...

Immobile nel suo giaciglio, Gabriele assaporò ancora per qualche istante lo strano torpore da cui si sentiva invaso, e si abbandonò alla riflessione, come gli capitava spesso di fare al mattino prima di alzarsi.

Gli avvenimenti di quegli ultimi giorni si disegnavano nella sua mente come fatti già lontani nel tempo, di un'epoca della sua vita da cui lo aveva diviso un inesorabile barriera d'acqua salsa. Confinato in quella scatola sospesa sul mare! Fuggiasco! Senza l’effusione degli addii o di un rigo alle persone più care! O sciò Gambin, l'unica persona che conosceva a terra il segreto della sua fuga: per esserne stato l'accorto e geniale artefice. A quell'ora, forse, il brav'uomo ne aveva già dato notizia alla casa amica di Santa Limbania. Gabriele si figurava la gioia della persona cara al suo cuore nel saperlo in salvo sulla nave del suo congiunto, piuttosto che nella triste prigione di Sant'Andrea dove sapeva rinchiusi molti dei suoi compagni di azione, e purtroppo anche Alberto Mario e la buona Jessie. Dopo tutto, per i suoi amici la preoccupazione di saperlo lontano doveva essere alleviata dal pensiero che la sua vita era affidata ad uno dei più valenti uomini di mare della Liguria!

Ma Gabriele non era tranquillo. Al cruccio per il nuovo insuccesso dell'impresa ordita da Mazzini, si univa il dolore per la tragica fine di Pisacane, di Falcone e forse di Nicotera, appresa a Genova il giorno stesso della sua fuga. Egli pensava con tristezza anche alla sorte dell'affezionato Cidàle e degli altri patrioti lericini e marinai portoveneresi del Cagliari gettati nelle carceri del Borbone, ma soprattutto a quella di Mazzini, che aveva lasciato in casa Pareto, dolorante ma non vinto, dopo il moto fallito.

Il dubbio che Mazzini errasse nel persistere sulla via delle cospirazioni e delle rivolte, cominciava a prendere forma nella sua mente. Tanti patrioti e lo stesso Bertani lo pensavano. Anche Alberto Mario si era piegato a malincuore all’impresa di Pisacane, e, si era detto, per amore di Jessie White, cospiratrice inglese per la causa italiana, cui il filosofo di Lendinara doveva essere ormai legato da qualcosa di più che una semplice solidarietà politica.

Più gravi erano le preoccupazioni di Gabriele per il suo avvenire: famiglia, carriera, tutto giuocato e perduto. Forse lo attendeva una nuova vita di sacrifizi e di disagi in quelle terre d'oltreoceano alle quali aveva dapprima rivolto il pensiero per sola curiosità geografica. E quale colpo per il vecchio dott. Tommaso, che lo attendeva per consegnare a lui, figlio unico, una buona fama da continuare ed una clientela affezionata da coltivare!

Evidentemente la sua vita si era improvvisamente disorientata, come la bussola in presenza di masse ferrose... Era anche lui sulla via dell'esilio, ed a questa dura eventualità non aveva mai osato pensare quando si era incolonnato nel manipolo dei ribelli cospiratori.

«Colui che primo aveva inventato quella pena non possedeva né madre, né padre, né amico, né fidanzata. Volle vendicarsi sulle altrui teste. Disse agli uomini: siate maledetti dall'esilio com’io lo sono dalla fortuna, siate orfani, abbiate la morte nell'anima...». Così Mazzini lo aveva definito in un suo scritto.

 

 

Quando salì sul cassero di poppa, uno spettacolo superbo i offri ai suoi occhi. Tutta la superficie di tela di cui il Perla del Plata disponeva era bordata al vento che spirava teso dalla dritta ed il sole da poppa la inondava di luce; sottovento, le scorte dei trevi ed i bracci dei pennoni vibravano sotto lo sforzo di trazione delle vele, tutte gonfie al vento, dalla randa e freccia di mezzana al controfiocco ed all'uccellina di bompresso, tutte compiendo in armonico e ben studiato accordo la loro funzione propulsiva. La nave, leggermente appruata, si adagiava maestosa col suo mascone di sinistra su di un cuscino di spume bianchissime rilucenti al bel sole di luglio.

Il mare era calmo ed anch'esso scintillante di spume e di riflessi, il cielo tersissimo. Sulla coperta ferveva ancora il lavaggio: i marinai, a piedi nudi, davano con voluttà bugliolate d'acqua salsa sulle bande, sui boccaporti, sui carabottini, sulle imbarcazioni, sulle manovre sospese alle pazienze, come per far sparire ogni traccia della polvere di terra da quel piccolo mondo che voleva vivere la vita pura e sana del largo.

Il turno di diana era già smontato: Capitan Risso aveva assunto personalmente la direzione della guardia. Passeggiava e fumava nelle vicinanze del timoniere e, sorvegliando ad un tempo bussola e vele, ordinava ora una quartina all'orsa ed ora una quartina alla poggia a seconda del gioco del vento sul quartiere di prua. La nave, forse a causa della disposizione del carico, era insolitamente orziera: bisognava fare attenzione a non prendere «a collo» per non compromettere la salvezza dell'alberata. Gabriele, nuovo a quelle navigazioni, si meravigliava come alla sorveglianza di un meccanismo così complesso di vele e di manovre fisse e correnti fosse adibito un numero assai esiguo di persone. Dopo il capitano ed il timoniere il sono nostromo se ne interessava, ma questi sembrava più preoccupato di mantenere l'ordine ed il rassetto della coperta e specialmente sul castello di prua, di cui era un piccolo sovrano. Tuttavia poté osservare che al comando, dato da poppa, di togliere due delle vele di strallo, ognuno era corso al suo posto e la manovra si era compiuta in un attimo. Dunque il pensiero di quei pochi uomini di coperta era sempre per le vele, anche quando sembravano adibiti ad altri lavori. Ognuno, come le vele, svolgeva nei riguardi della navigazione una particolare funzione, in quel piccolo mondo il cui codice poteva riassumersi nelle parole: attenzione, prontezza, obbedienza.

- Barometro alto - disse il capitano nello scorgere Gabriele - il Golfo Leone non poteva farci migliore accoglienza. Ma siamo in luglio ed è da escludersi, in principio, la classica lionata. Qua il maestrale soffia per duecento giorni all'anno, ma quando è accompagnato dal barometro alto, il tempo si mantiene chiaro e secco e nulla vi è da temere. Se invece soffia con barometro basso – ed i pescatori di Marsiglia lo chiamano allora il Mistraon blu - bisogna correre con le sole gabbie e star pronti a terzarolare. In questo caso il vento non è più quello locale del Golfo, ma un riflesso - dice il Maury - di un colpo di vento da ovest o da sud ovest dominante in Atlantico. Con questa specie di maestrale il tempo è nuvoloso ed a piovaschi, ed in inverno porta groppi violenti di neve, come nel golfo Stream. - E, data un'occhiata alla bussola, aggiunse: - il mare e grossissimo, spesso la pioggia cade ha torrenti ed alle navi sorprese non resta altra alternativa che ricorrere a cercare il ridosso sotto la Sardegna. - e poi, scaricata la pipa sottovento: - guai a chi si fa cogliere sotto le coste di Provenza! Anche l’atterraggio a Marsiglia diventa difficilissimo. Ma andiamo in camera a caricare la macchina!

Con ciò capitan Risso voleva significare la prima colazione del mattino, composta di galletta bagnata in una fragrante tazza di caffè e rum, che egli, dopo aver impartito istruzioni al timoniere ed al nostromo, consumò di buon appetito nella saletta di poppa insieme al suo protetto.

Intanto, dalle quattro cabine che insieme a quelle del capitano e dello scrivano erano contenute nella tuga poppiera e si aprivano nella sala comune - sala da pranzo, sala di convegno e sala nautica ad un tempo - cominciavano a far capolino, attratti dalla splendida navigazione, i pochi passeggeri di classe che la Perla del Plata ospitava. Erano in numero di 16 e cioè quattro per cabina. La nave non portava passeggeri di ponte in quanto i suoi armatori preferivano avere maggiore spazio disponibile per il carico.

Altre navi, come la nuovissima Aquila del Los Andes dei Puccio di Chiavari, portavano passeggeri di tuga e di ponte ed il vecchio San Giorgio, la nave più veloce della flotta da emigranti, poteva alloggiare trentadue passeggeri di camera e cinquecento di ponte!

Balthazar - così chiamavano per ischerzo il lericino Baldassarre Gattoronchieri - era nel pieno delle sue funzioni di cuoco e maestro di casa ad un tempo, e per quanto non avesse alle dipendenze che due camerotti ed un sottocuoco, sapeva assumere in presenza dei passeggeri le arie e l'importanza di un maggiordomo di classe. Beninteso, che sotto la pressione di un «groppo» od in qualsiasi difficile contingenza, egli era il primo ad inforcare cappotto cerato e cappello sud-ovest, e ad allungarsi, con la sua piccola squadra di dipendenti, sulle manovre di una vela che faceva la pazza, o sui bracci di un pennone da orientare al vento. Ciò in omaggio al principio che l'unione fa la forza, mai così largamente applicato come sulle navi a vela, in cui le braccia disponibili erano sempre inferiori alle vere necessità.

Al pranzo di mezzogiorno, continuando il buon vento ed il tempo «stabilito», la piccola famiglia dei passeggeri e degli ufficiali entrò gradualmente nell'intimità che la natura e la ristrettezza dell'ambiente esigevano. Il nucleo dei passeggeri comprendeva due famiglie di commercianti chiavaresi, un avvocato piemontese, la famiglia di un medico lombardo residente al Paraguay, due fratelli orfani di Loano che andavano a raggiungere uno zio a Buenos Aires, un farmacista genovese appena laureato, due giovanottoni lombardi che forse avevano qualche conto da regolare con la polizia politica di Francesco Giuseppe e finalmente Don Felipe Sanchez de la Cruz, un madrileno che ritornava in patria per la via di Cadice, dopo un fortunoso pellegrinaggio alla Città Eterna.

Vinta la naturale riservatezza di ognuno, e passato il momento di curiosità scrutatrice che ispirano sempre le persone ignote con le quali si sa di dover vivere per qualche tempo in una familiarità inevitabile, la confidenza ed uno schietto buon umore cominciarono a diffondersi in quella saletta a piano inclinato in cui quella ventina di persone era destinata a ritrovarsi ed a tollerarsi per un centinaio di giorni. Vi contribuì anche il buon trattamento offerto, con le provviste ancora fresche, dall'insuperabile Balthazar, che sapeva trarre miracoli dalle limitate risorse della cucina e della dispensa di un veliero, nonché l’affabilità del capitano, che forse non tutti i passeggeri si attendevano, dato che alcuni romanzieri del tempo continuavano a modellare sul tipo del negriero quegli eroici conduttori di navi e di uomini...

Al tramonto il maestrale continuò a soffiare fresco. Un grande quattro alberi era stato avvistato di prua; era una nave a palo che correva di contro bordo con tutti i quartieri orientati al gran lasco e rotta probabilmente su Genova: la massa imponente della sua velatura si proiettava sul cielo rossastro di ponente come un castello di tela che avanzava torreggiante in mezzo ad un biancheggiare di spume. Il quadretto era così fresco di tinte che doveva colpire l'animo degli stessi marinai, che si erano affollati, insieme agli ufficiali e dai passeggeri, verso poppa, per osservare in tutti i particolari il bel barco al suo passaggio.

Al picco di mezzana del Perla del Plata era stata issata l'azzurra bandiera sarda e subito dopo un gruppo di quattro bandierine da segnali ondeggiò civettuolo in testa all'albero. Immediatamente analoghe bandiere fecero capolino fra le altre vele della nave che scendeva in poppa.

- È il Monte Sinai della Casa Parodi di Genova - disse l'allievo di bordo, dopo aver consultato la lista dei nominativi internazionali.

- 435 tonnellate, carico e passeggeri; di ritorno dal suo primo viaggio a Capo Horn - aggiunse Capitano Risso - Osservate la sua alberatura altissima e l'enorme superficie velica, che gli da l'aspetto di un vero clipper.

- È una nave di velocità, con la quale non vorrei mettermi in corsa sull'oceano!

- Porta comodamente due centinaia di emigranti in corridoio ed il doppio dei nostri passeggeri di classe. La comanda capitana Mazzetto di Camogli. Scommetto che a bordo sono tutti camoglini, dallo scrivano all'ultimo garzone di camera!

I due velieri si erano rapidamente avvicinati e con abile manovra defilarono a portata di voce in un mare di spuma, mentre i picchi di poppa le bandiere nazionali salivano e scendevano tre volte in segno di saluto. Non un grido dalle due piccole folle ammassate sulle poppe e sulle bande, all'infuori delle voci squillanti dei capitani ai megafoni:

- Avete ordini per Genova?

- Rapportateci tutto bene a bordo.

- Veniamo dal Callao. Navigazione giorni 115.

- Andiamo al Plata toccando Cadice.

- Buona campagna!

- Buon rimpatrio!       

 

 

         Gino Montefinale

 


 

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