A SANTA MARGHERITA FURONO COMPIUTE DA MARCONI LE DECISIVE ESPERIENZE
Gazzetta del lunedì 24 dicembre 1962
Questo autunno così pieno di storia, che ci ha dato il concilio ecumenico ed
ha proiettato, sia pur fugacemente, le ombre minacciose dei sinistri
«Cavalieri dell'Apocalisse» sul mare dei Caraibi, nel volgere al suo
declino, ha voluto dare all'umanità un'altra prova spettacolare del grado di
perfezione quale sono giunte le tecniche volte all'esplorazione dello
Spazio, verso i cui misteri essa tende affannosa lo sguardo dalla profonda
lontananza dei millenni.
Per la prima volta, dal lontano 1600, in cui Galileo Galilei forniva gli
astronomi, col suo «cannocchiale» la possibilità di avvicinare gli astri -
che però, a dispetto del successivo progresso nel campo ottico,
dell'avvento, ai nostri giorni, dei mastodontici telescopi da duecento
pollici (5 metri di diametro) del Monte Palomar (California) e dei
radiotelescopi giganti, sono rimasti sempre a distanze astronomiche dalla
terra - un veicolo spaziale munito di strumenti osservatori si è avvicinato
al pianeta Venere alla distanza minima di 32.000 km.
L'avvenimento si è compiuto il 14 dicembre alle 18:45 e chi ne seguiva le
fasi emozionanti dalle stazioni di controllo terrestri ne ho avuto la
precisa nozione dall'emissione dei segnali radio di bordo, giunti ai
ricevitori dalla bella distanza di 58 milioni di chilometri!
Se l'uomo della strada ancora la capacità di sbigottirsi di fronte a
conquiste del genere, deve essersi certamente domandato se l'acquisizione
che va sotto il nome di «Mariner II» sia da considerarsi un successo
strabiliante della scienza e della tecnica che non conta ancora vent'anni di
vita, oppure della prodigiosa creatura di Marconi, giunto al 67mo anno di
continui e sempre nuovi sviluppi.
Non sono un tecnico spaziale e non saprei pronunciarmi sul valore
missilistico dell'ardito esperimento e vorrei solo puntualizzare che dopo il
volo interplanetario del «Mariner», nel quale non erano state disposte
telecamere, ma solo una dozzina circa di strumenti scientifici
d'osservazione, si apriranno orizzonti insperati alla più esatta conoscenza
del nostro sistema solare. La telefoto e la televisione, portate dalle sonde
spaziali a contatto ottico ravvicinato con i pianeti e gli altri corpi
celesti, forniranno assai presto una soluzione di tanti misteri, che invano
è stata chiesta tuttoggi ai telescopi ed ai radiotelescopi.
Avendo avuto, come pochi altri superstiti della mia generazione, il
privilegio di assistere alla nascita, agli sviluppi iniziali e successivi
della grande invenzione marconiana, mi sento autorizzato a mettere in più
chiara evidenza la parte sostanziale che ha la radio nella cosiddetta
«conquista dello spazio», che è propriamente di due ordini: 1.) quella,
ormai notoria e appariscente, delle informazioni che il veicolo spaziale
trasmette automaticamente alle stazioni ricevitrici di terra (dati sulle
osservazioni e di telemisure, riprese in telefono o televisione, ecc). È
questo il miracolo permesso dalla raggiunta miniaturizzazione e
microminiaturizzazione delle parti componenti e valvole, dall'uso dei
transistors, dell'automazione, eccetera; 2.) la funzione di guida e
telecomando sia del razzo vettore, sia della capsula o sonda spaziali, per
dirigere l'orbitazione nelle varie fasi, correggerne la rotta quando
necessario, azionare a tempo strumenti, riprese, emissioni radio e via
dicendo, mentre sono le stazioni radio e radar redistribuite ordinatamente
in vari punti terrestri a seguire costantemente i satelliti e le sonde
spaziali lungo le traiettorie celesti, traendone i dati occorrenti alla
esatta previsione delle orbite.
Ci si può allora domandare, se tutto ciò sarebbe oggi possibile, qualora nel
lontano 1895 un giovane taciturno e riflessivo, ma di ostinata e tenace
volontà, in una tenuta agricola del bolognese non avesse dato il via, con
una modesta trasmissione «a tiro di schioppo», a quelle onde elettriche che
lo stesso loro grande scopritore - il fisico, filosofo e matematico tedesco
Enrico Rodolfo Hertz, nel 1888 - in sue corrispondenze private dichiarava «Che
non avrebbero verosimilmente raggiunti i cento metri di portata»
considerandole quindi un semplice prodotto e soggetto di studio da
laboratorio... Valutazione assai modesta della propria opera, ma che non ne
infirma la grandezza, in quanto vivente lo Hertz, nessuno aveva ancora
trovato il modo di rivelare le sue onde in modo pratico, e fu qualche anno
dopo il professor Calzecchi Onesti a farlo per il primo.
Peraltro, per assegnare alla radio la grande parte di merito che le spetta
in questa come nelle altre imprese missilistiche volte alla conquista dello
spazio, bisogna riportarsi ad una fase dell'opera di Marconi molto più
avanzata.
Al grande predestinato la provvidenza aveva assegnato un programma ben
preciso di tappe da percorrere al fine di portare a piena maturità la
creatura embrionale uscita dalla intuizione del suo genio. Orbene, ciò che
ha permesso l’affermazione del missile spaziale, provvedendogli la guida
nelle varie fasi della traiettoria, il telecomando e la facoltà di
trasmettere a terra ciò che misura, fotografa o vede dello spazio è il
passaggio della radio di Marconi dallo stadio di «irradiazione circolare» ai
«fasci direzionali» con onde cortissime e microonde, quelle appunto
impiegate nella missilistica spaziale.
Se la concisione non lo vietasse, potrei ora dimostrare che l'idea delle
«onde a fascio» è sorta in Marconi durante una sua sosta all'Hotel Miramare
di Genova durante la prima guerra mondiale, e qui fu costruito il primo
riflettore a donde cortissime, sperimentato con successo nel Tirreno. È poi
storia nota la lunga sperimentazione fatta da Marconi con la sua «Elettra»,
con base a Santa Margherita Ligure, nel periodo 1929-1937, che fu l'ultimo
della sua vita, dalla quale derivarono le più strabilianti applicazioni
delle onde elettriche, dal radar alle telecomunicazioni spaziali a distanza
infinita.
Gino Montefinale
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