RIAFFIORA L'«ELETTRA»
Gazzetta del lunedì 21 maggio 1962
L’Elettra, le cui spoglie stanno
per essere risollevate dai fondali dell'Alto Adriatico, è uno degli ultimi
grossi scafi a vapore da diporto che i liguri rivieraschi delle passate
generazioni chiamavano, più che col nome ostico di
yachts, con quello più
onorevole di
Lords (o lordi), forse
perché quelle candide e lucide navicelle, che nella struttura e
nell'armamento misto, a vela e vapore, ricordavano la classica goletta
mediterranea, appartenevano in maggioranza a grandi personaggi inglesi. Oggi
la moda e lo stile del grande diporto sui mari sono del tutto cambiati e,
salvo i rari scafi alla vela, vi predominano le grosse motobarche, ma che
mancano del carattere, signorile e familiare ad un tempo, che era proprio
dei vecchi panfili, vere
homes naviganti, esemplari
ormai perduti di un diporto nautico più raccolto, meno rumoroso e
sconcertante dell'attuale.
Fu di quel tipo, il modesto scafo da circa 730 tonnellate di stazza lorda
sul quale Guglielmo Marconi aveva messo gli occhi nel 1919: una vecchia
proprietà dell'arciduchessa Maria Teresa d'Austria, che lo aveva battezzato
Rowenska,
divenuto poi preda di guerra del governo inglese ed utilizzato
dall’Ammiragliato come nave sussidiaria durante la prima guerra mondiale.
Costruito nel 1904 presso i cantieri Ramage & Ferguson di
Leith in Scozia, era lungo 65 metri, largo 9 e
mezzo e pescava 5 metri. Aveva una macchina a vapore della potenza nominale
di 1200 HP, con focolai a carbone ed una sola elica, capace di imprimergli
la velocità massima di 12 nodi.
Marconi aveva acquistato il panfilo nel 1920 e ne aveva affidato i lavori di
adattamento a sua casa e laboratorio naviganti e personali, al compianto
ammiraglio della R. N. Filippo Camperio, figlio
del grande esploratore milanese e figura assai nota e caratteristica
dell'ambiente marinaro del tempo, ma legato soprattutto da grande amicizia
all'Inventore. Lo stesso Camperio era stato
incaricato altresì della formazione dell'equipaggio, che Marconi volle tutto
italiano ed a lui si deve la scelta del primo comandante, nella persona del
capitano di fregata nella Riserva Lauro, un gioviale sorrentino che ricordo
di aver avuto a compagno di bordo durante le operazioni di guerra in
Adriatico. Il panfilo batté sempre bandiera italiana, con al trinchetto il
distintivo dell'R.Y.C.I. ed alla maestra quello del «Royals
Yacht Squadron» britannico.
Intorno al 1920 la radiotelegrafia, superate le sue prove più ardue, ed
affinata nei mezzi e nei criteri di impiego, al vaglio specialmente di una
lunga e dibattuta guerra sui mari e nelle colonie, era giunta ad una delle
sue svolte decisive promosse dalla comparsa quasi simultanea sulla scena del
progresso tecnico delle valvole elettroniche e delle radiogoniometro. Le
valvole schiudevano il campo alla affermazione della radiotelefonia e quindi
delle radiodiffusioni a carattere universale; il radiogoniometro, dal suo
canto, apriva la serie dei radio aiuti alla navigazione che culmineranno con
radar.
Marconi, se ne era fatto il commesso viaggiatore tra il vecchio ed il nuovo
mondo, con un’ ottantina di traversate dell'Atlantico, che lo avevano reso
«di casa» nella grande famiglia dei marinari di altura. Questi precedenti
non furono certamente estranei alla sua decisione di scegliere il mare a sua
dimora quasi abituale nelle dieci e più campagne dell'Elettra:
Radiotelefonia, Onde Corte, Microonde, Stazioni a fascio, Radioechi, Radar,
sono altrettante tappe gloriose nella storia della radio.
Dal 1931, fino all'immatura scomparsa del grande scopritore delle
radiocomunicazioni, cessano le campagne d'alto mare e comincia la fase, non
meno interessante, delle campagne nei mari peninsulari con base a Santa
Margherita Ligure, sulle quali ormai tutto è stato scritto. Dopo il
comandante Lauro, si erano succeduti al comando dell'Elettra i comandanti
della marina mercantile Romeo Devoto dell'Arma di Taggia e Gerolamo Stagnaro
di Sestri levante.
Avvenuto l'irreparabile, nel luttuoso 20 luglio del 1937, sbarcato Stagnaro,
che riprese il comandi di alto mare, sembrò che non ci fosse più posto per
l'utilizzazione scientifica della nave di Marconi, lasciata da questi, per
antecedente deliberazione, in consegna al passato governo. Si avvicinava la
guerra e l’Elettra, dopo aver
peregrinato da un mandraccio all'altro fu
condotta a Trieste, dove rimase inutilizzata fino all'armistizio dell'8
settembre 1943.
Poi sotto bandiera e con equipaggio tedesco, tagliati i due magnifici
alberi, e la ciminiera quasi a filo di coperta, blindato il ponte, armata
con cannoncini e mitragliere, dipinta col fosco colore di guerra, la nave,
già asilo di pace e di lavoro del nostro grande scienziato-navigatore, prese
il mare per la sua ultima crociera. Un bombardamento di stormi alleati la
colse il 2 marzo del 1944 nel secondo vallone di Zara ed affondò in
profondità sui dieci metri.
Fu ventura che nella confusione di potere in seguito all'armistizio dell'8
settembre un buon italiano, il prof. Picotti dell'Università di Trieste, con
nobile gesto e (credo aiutato dal direttore di macchina Vigo) provvedesse
allo sbarco ed all'occultamento delle apparecchiature servite a Marconi
nelle storiche esperienze, oggi degnamente conservate alla venerazione degli
italiani.
Gino Montefinale
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