LA NOSTRA MARINA IN PACE E IN GUERRA
Un po' di critica ed un po' di difesa
La Marina Italiana, ottobre 1964
In guerra vince chi commette meno errori. Ma sono spesso gli errori commessi
nella preparazione in tempo di pace a far perdere le guerre, aforisma
quest'ultimo che ha maggior valore per la parte in lotta alla quale fa
difetto un potenziale scientifico-industriale capace di darle possibilità di
ripresa quando, per la mancanza di armi adatte o per il graduale, od
improvviso, disfacimento di altri mezzi, la guerra volge decisamente a suo
sfavore.
Questa considerazione mi è venuta alla mente leggendo il terzo ed ultimo
volume, testé uscito, di un libro di ricordi marinareschi che l'autore,
ammiraglio di squadra Vittorio Tur (già
presentato ai lettori per i volumi precedenti), ha intitolato
Plancia Ammiraglio, per indicare
che dall'alto di essa, non solo le formazioni, ma, figurativamente, fatti ed
uomini sono abbracciati con sguardo d'assieme, ed è ciò che più conta nella
storia.1
Non era facile scrivere una storia della marina italiana post-risorgimentale
nel periodo 1922-1945, che fu il più avventuroso della sua esistenza, e se
ne intuiscono le ragioni; ma il Tur - anche se
non lo dice - non ha avuto pretesa di storiografo. Lo chiamerei un
dirigente« annotatore» dell'ambiente nel quale ha vissuto il suo
cinquantennio di servizio effettivo: la sua prosa è nello stile di quel
«giornale di bordo» che noi allievi della vecchia Accademia Navale di
Livorno (dove col Tur fummo compagni) eravamo
obbligati a tenere, per registrarvi soprattutto le nostre impressioni
sull'ambiente ed i fatti svoltesi nella nostra piccola famiglia navigante
nonché sui paesi visitati, i loro popoli, le loro marine, ecc.
«Errare
humanum est
- scrive il Tur nella premessa al III volume -
e se sul frontespizio del libro
fossero state stampate le parole: errori molti, glorie infinite, tradimenti
nessuno esse avrebbero da sole riassunto quanto scritto nella IV parte
(quella che si riferisce alla marina da guerra)».
Così, nella sua narrativa, l'autore non tralascia di ricordare gli errori
commessi, perché una lacuna in tal senso non sarebbe stata perdonata dei
lettori «errori che non ledono
l'onore di nessuno soprattutto quando coloro ai quali potessero venire
addebitati si trovavano in mare col peso delle più gravi responsabilità e
dovevano prendere rapide decisioni sotto offese avversarie aeree e navali,
sovente con informazioni contraddittorie sulla posizione e la composizione
delle forze navali nemiche o con completa mancanza di notizie per deficienza
di aerei da ricognizione, navigando quasi sempre senza la protezione di
quelli da caccia e non avendo a disposizione gli ultimi ritrovati della
scienza dei quali l'avversario seppe dotare le sue navi».
Nel duro cimento a cui fu sottoposta la Marina (da guerra e mercantile) vi
furono errori imputabili ad imprevidenza del tempo di pace ed errori (in
maggior parte sfortune) commessi nel corso delle operazioni. A parte il
fatto - reso noto per la prima volta in questo libro - che un piano di
guerra contro una coalizione franco-inglese in Mediterraneo non era mai
stato preso in considerazione (era da pazzi solo pensarlo! Afferma
l'ammiraglio), fu esiziale per la flotta di non poter disporre di forze
aeree autonome.
Le grandi manovre del 1924 avevano chiaramente dimostrato le deficienze
dell'arma aerea e fu riconfermata per la Marina la necessità di avere una
propria aviazione e almeno una nave portaerei. La
Giuseppe Miraglia - afferma il
Tur - varata l'anno prima, era solo una
modestissima unità per il trasporto di aerei e l'Italia, subito subito dopo
il trattato di Washington, avrebbe dovuto invece sull'esempio delle altre
marine, costruirne una idonea allo scopo. Purtroppo così non fu: a fine
aprile 1925 il grande ammiraglio Thaon di
Revel presentava le sue dimissioni da Ministro
della Marina a seguito della deliberazione del Consiglio dei Ministri che
privava definitivamente la Marina della sua aviazione.
♦
♦
♦
Sul finire del secolo XIX, nel corso del quale s’era operato il passaggio
dalle marine veliche a quelle a vapore, la mancanza di celeri collegamenti
aveva mantenuto pressoché immutata la posizione degli ammiragli il mare
rispetto al potere centrale. Ma l'avvento della radiotelegrafia di Marconi,
praticamente nel primo decennio del nostro secolo, venne a cambiare quasi
radicalmente suddetto rapporto, con lati ovviamente positivi, quali la
possibilità del potere centrale di mantenersi in continuo contatto con gli
alti comandi operanti su mari e oceani e fornire ad essi le informazioni sul
nemico (obiettivi, composizione e mosse delle flotte, eccetera) che i
Jervis, il Collingwood,
i Nelson ed i Villeneuve della vela avevano dovuto raccogliere faticosamente
con i propri mezzi.
Ma, come era da attendersi, fu già evidente in operazioni navali della
guerra sui mari 1914-1918 che il nuovo strumento poteva dare al potere
centrale (ai politici in special modo) la possibilità (o la tentazione che
dir si voglia) di dirigere la guerra navale dalla sede terrestre,
interferendo con l'alto comando in mare, od addirittura esautorandolo.
Ricordo che contro questa tendenza, manifestatasi anche in occasione della
grande battaglia dello Skagerrak, ebbero a
prendere posizione i migliori scrittori di cose navali nel periodo
1919-1939.
Ebbene, nella II guerra mondiale a Roma fu costituito
Supermarina, una specie di
Comando Superiore Centrale che emanava ordini e direttive ai comandi
dipendenti a terra e il mare, raccoglieva informazioni e comunicava agli
interessati quelle che riteneva opportune. Le spettava pure il compito delle
decisioni operative in base alla situazione strategica dedotta dalle
informazioni. Il comando delle Forze Navali, era così «vincolato a Roma»
anche perché come aviazione aveva a disposizione solo i pochi velivoli delle
navi e ogni richiesta di aerei doveva passare per Roma! In conclusione
al comando il mare spettava solo la
direzione del combattimento.
«Questo
vincolo -
afferma l'ammiraglio Tur
- è stato dannoso perché ha tolto lo spirito di iniziativa, la rapidità di
interventi aerei, ecc. e talvolta anche quando potevano essere prese
decisioni rapide in mare si volle richiedere il parere e l'autorizzazione a
Roma! In Inghilterra i comandanti in capo esercitavano comando strategico e
tattico, avevano navi portaerei e perciò apparecchi a portata di mano e
disponevano nella zona loro affidata di aerei propri».
Non troviamo in «Plancia Ammiraglio», così ricca di particolari in fatti e
cronache della Marina nel difficile periodo di cui tratta il III volume,
alcuna notizia precisa in merito alla genesi di
Supermarina e riteniamo
perciò che l'attento lettore, munito di spirito critico, sia condotto a
porsi il dilemma: o questo strano modo di condurre la guerra navale fu
imposto alla Marina della suprema autorità politica; o la Marina dovette
adattarvisi (come ad un male necessario) quando apparve evidente
l'impossibilità di fornire agli ammiragli in mare i mezzi aerei autonomi di
esplorazione e copertura (l'ombrello aereo) tutte le volte che
intraprendevano operazioni contro il nemico, o scortavano convogli, ecc.
Rileviamo dalla pubblicazione del Tur che tali
deficienze ebbero i primi effetti nell'incontro di Punta Stilo del luglio
1940 e si protrassero per tutta la durata della guerra; ma il caso più grave
fu il mancato incontro di una nostra agguerrita formazione navale con la
squadra inglese che aveva bombardato Genova il mattino del 9 febbraio 1941.
L'attacco navale a Genova, condotto dall'ammiraglio
Sommerville, si era svolto di sorpresa dalle 0800 alle 0845, facendo
scoppiare un numero ingente di proiettili, in prevalenza da 381 mm, sul
porto e la zona monumentale circostante, dopodiché gli inglesi si erano
allontanati per rientrare a Gibilterra. Nell'ora stessa del bombardamento,
una forza navale italiana condotta dall'ammiraglio
Iachino, composta dalle corazzate
Vittorio Veneto, Giulio Cesare,
Andrea Doria, da tre incrociatori e diversi cacciatorpediniere, si
trovava a ponente della Sardegna; ma inspiegabilmente la comunicazione dal
centro di informazioni (Supermarina)
della presenza del nemico al largo di Genova giunse all'ammiraglio soltanto
alle 0950.
Ciononostante, l'ammiraglio Iachino fece del suo
meglio per incontrarsi col nemico nella sua ritirata e la rotta assunta per
Nord-Ovest alle 1300 era proprio quella che lo avrebbe portato al
combattimento. Invece, successive informazioni erronee da
Supermarina
lo a indussero portarsi verso Capo Corso: le due squadre defilarono di
contro bordo a distanza radar; ma il portentoso apparecchio era solo da
parte inglese...
Per ben 39 mesi la Marina, a malgrado delle accennate deficienze, ha saputo
tener testa alla più forte concentrazione navale avvenuta mai prima in
Mediterraneo e posto spesso in condizioni assai critiche l'avversario, che
lo ha del resto onestamente riconosciuto. La marina ha perduto con onore la
guerra. È stata abbattuta come la quercia robusta dopo aver resistito a
tempeste e tempeste riversatesi su di lei; ma che grazie alle sue buone e
salde radici, alla capacità di risorgere col tempo, vigorosa e rigogliosa
come lo richiede la sua intramontabile funzione al servizio di una patria
tutta protesa sul mare.
Il libro del Tur, con la franca ammissione degli
errori commessi, giunge molto a proposito a far meditare gli italiani sulla
nuova situazione creatasi in Mediterraneo dopo l'esodo quasi completo da
questo mare delle forze navali anglo-francesi destinate ad operare
nell'ambito della NATO. E ciò mentre i neo-stati indipendenti del Nord
Africa hanno assunto un atteggiamento poco benevolo verso gli occidentali!
Dato che l'impiego della VI Flotta statunitense è e rimane prevalentemente
strategico ed il dissidio greco-turco minaccia di creare un vuoto di potenza
molto pericoloso nell'alleanza di cui facciamo parte, la consistenza attuale
di 11.000 tonnellate (appena metà della quale è costituita da navi moderne)
è assolutamente insufficiente sia alla difesa dei nostri 8500 chilometri di
costa, sia alla protezione del nostro traffico mercantile.
Sappiamo che il fabbisogno di forze della marina strettamente indispensabile
per poter assolvere con relativa tranquillità i suddetti compiti è stato
determinato nelle sue linee generali in 200.000 tonnellate di naviglio
operativo, 40 aerei «antisom», 120 elicotteri e
50.000 tonnellate di naviglio ausiliario.
Com.te
Gino Montefinale
1
Vittorio Tur:
Plancia ammiraglio volume terzo
602 pagine, un centinaio di foto incisioni e 18 grafici. L'opera è divisa in
quattro parti con un totale di 39 capitoli. Editore canesi S.p.A. Via
Montanelli 11 Roma prezzo lire 6000.
Home ◊
I libri ◊
I libri
inediti ◊
Gli articoli ◊
Gli
interventi ◊
Gino
Montefinale ◊
Biografia ◊ Contattaci |